Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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Editoriale Fascicolo 2/2018 (di Giulia Sarnari (Avvocato in Roma))


I maltrattamenti economici in ambito familiare sono molto diffusi, causano sudditanze psicologiche difficili da stanare e da intercettare come fattispecie autonome di violenza, e ancor oggi la risposta dell’ordinamento, in sede civile e in sede penale, appare inadeguata. I maltrattamenti economici si sostanziano nel non dare le necessarie risorse per la gestione familiare, nel controllo sulla gestione delle risorse finanziarie, nella estromissione dalla gestione delle risorse finanziarie, nella estromissione dalla titolarità dei rapporti bancari, ma anche nella costrizione alla erosione del proprio patrimonio o del proprio reddito, nella costrizione alla sottoscrizione di documenti che impegnano come responsabile della gestione altrui, sia penalmente, civilmente che fiscalmente. I maltrattamenti economici si verificano anche quando, a seguito della cessazione del rapporto di convivenza familiare, non vengono rispettati gli obblighi di mantenimento. Vittima dei maltrattamenti economici è solitamente la donna la cui autonomia economica e la maggiore possibilità di autodeterminazione che dalla indipendenza economica deriva, costituiscono sicuramente un impedimento al verificarsi del fenomeno. La Prof. Tonnarelli evidenzia come nell’ambito della spirale della violenza di genere, la dimensione economica risulta estremamente presente. Dai risultati della ricerca WE GO – Women Economic Indipendence & Growth Opportuniy (2017) realizzata in Europa su un vasto campione di donne, emerge come il 53% di esse dichiari di aver subito qualche tipo di violenza economica. L’autrice svolge una attenta disamina sociologica del fenomeno e conclude evidenziando che «i dati dell’European Value Study consentono di mettere in evidenza come in Italia permangano, più che in qualunque altro paese europeo, forti retaggi di tipo culturale e valoriale che, di fatto, stigmatizzano non tanto l’occupazione femminile tout court, ma una partecipazione lavorativa che vada a discapito delle esigenze degli altri componenti del nucleo familiare (…) i dati dell’indagine sono inequivocabili nel fotografare una società dove, indipendentemente dal genere, resta forte l’idea che il lavoro rappresenti un’esperienza più importante per gli uomini che per le donne». Con riguardo a questo specifico aspetto la Dott. Sarnari nell’articolo che segue, pone in evidenza che «l’Italia si colloca al penultimo posto nella classifica a livello europeo della disoccupazione femminile: nel giugno 2017, il tasso di occupazione delle donne di età tra i 15 ed i 64 anni, raggiungendo un record, si era attestato al 48,8% (66,8% per gli uomini) ed il tasso di disoccupazione al 12,00% (10,4% per gli uomini)». La presenza femminile ai livelli dirigenziali più elevati, anche se tendenzialmente in crescita, è senz’altro numericamente inferiore [continua..]