Dal regime anglosassone a quello italiano. La disamina delle decisioni delle due Corti Supreme offre un riscontro della tendenza verso un approccio più restrittivo nei confronti degli assegni di mantenimento nelle giurisdizioni europee.
Anche in Inghilterra come in Italia si auspica un intervento legislativo e gli autori evidenziano che a luglio 2017, Ruth Deech ha avanzato una Proposta di legge sul divorzio (Financial Provision) [HL] 2017-2019. Quest’ultima, in esame al momento della stesura del presente articolo, suggerisce una revisione completa della legge inglese su cui si basa la definizione dei provvedimenti economici in caso di divorzio, la Section 25 del Matrimonial Causes Act 1973 (MCA 1973).
From the British to the Italian system. Examination of the decisions in the two Supreme Courts sheds light on the trend towards a more restrictive approach to alimony in European jurisdictions.
As in Italy, there are hopes for legislative intervention in Britain, too, and the authors point out that in July 2017, Ruth Deech brought forth a draft law on divorce (Financial Provision) [HL] 2017-2019. This law, under examination at the time of this writing, suggests a complete overhaul of the British law upon which the definition of financial provisions in the event of divorce is based: Section 25 of the Matrimonial Causes Act 1973 (MCA 1973).
1. Premessa - 2. L'approccio inglese – Mills v. Mills - 3. La soluzione italiana: la soluzione tracciata dalle Sezioni Unite - 4. Finché morte non ci separi (Until death then)? - NOTE
Negli ultimi mesi, in Inghilterra, chi consultasse rapporti legali, articoli, o altre pubblicazioni in materia di diritto familiare faticherebbe a trovarne uno in cui non si fa appello a “cambiamenti” o “riforme”. I casi di Tini Owens e Nasreen Akhtar hanno catturato l’attenzione dei media e del pubblico, puntando i riflettori sull’autorità e sui vincoli della Giustizia inglese nel “modernizzare” l’interpretazione e l’applicazione delle leggi sul divorzio. I recenti successi di Rebecca Steinfeld e Charles Keidan presso la Corte Suprema d’Inghilterra hanno riacceso il dibattito su come meglio tutelare i milioni di coppie conviventi che scelgono di non sposarsi o di optare per l’unione civile. L’appello al cambiamento si è dimostrato più acceso e prolungato, comprensibilmente, sull’applicazione delle leggi che stabiliscono gli obblighi economici spettanti a un coniuge a favore dell’altro in caso di divorzio. In particolare, alcuni ambienti inglesi hanno criticato l’erogazione delle somme periodiche, ossia “dell’assegno di mantenimento”, dopo il divorzio, secondo il principio delle “joint lives” (ovvero della “vita comune”, cioè fino al decesso o a un nuovo matrimonio dell’altro coniuge), definendola superata e contraria a ciò che molti ritengono essere la finalità del mantenimento, ovvero favorire la transizione all’indipendenza di chi ne beneficia nei tempi più equi e ragionevoli. A luglio 2017, Ruth Deech ha avanzato una Proposta di legge sul divorzio (Financial Provision) [HL] 2017-2019. Quest’ultima, in esame al momento della stesura del presente articolo, suggerisce una revisione completa della legge inglese su cui si basa la definizione dei provvedimenti economici in caso di divorzio, la Section 25 del Matrimonial Causes Act 1973 (MCA 1973). La Section 25 dell’MCA 1973 stabilisce, infatti, che i giudici inglesi tengano conto del reddito, delle risorse, dei bisogni, dell’età, della durata dell’unione e di eventuali condizioni mediche dei due coniugi, oltre che del loro tenore di vita durante il matrimonio, allo scopo di sancire una divisione equa del patrimonio e dei redditi in caso di divorzio. Nessuna delle indicazioni avanzate dalla Proposta ha suscitato più dibattito di quella dell’imposizione di un [continua ..]
Il sig. e la sig.ra Mills divorziarono nel 2002, dopo 15 anni di matrimonio. Il sig. Mills era titolare di attività in ambito tipografico, mentre la sig.ra Mills aveva lavorato come estetista, pur soffrendo di una serie di problemi di salute dopo un aborto spontaneo avvenuto durante il matrimonio. Le disposizioni economiche (concordate fra le parti) stabilirono che la sig.ra Mills percepisse una somma di 230.000 sterline a soddisfacimento dei suoi diritti in termini di patrimonio, oltre che il pagamento, accettato dal sig. Mills, di un ulteriore importo di 13.200 sterline all’anno a titolo di assegno di mantenimento per la loro vita in comune. Fu inteso che la sig.ra Mills avrebbe utilizzato le 230.000 sterline per acquistare una proprietà per se stessa. Fra il 2002 e il 2009, la signora in effetti, acquistò diverse proprietà, facendo tuttavia investimenti sbagliati che alla fine le fecero perdere il capitale iniziale. Nel 2014, la sig.ra Mills presentò una richiesta di revisione in aumento del suo assegno di mantenimento ex s31(1) MCA 1973. Il sig. Mills rispose con una contro-istanza che lo sollevasse o, in alternativa, sancisse una riduzione. Il giudice Everall, pronunciandosi sulle applicazioni della prima istanza, riscontrò uno scarto annuo di 4.092 sterline fra il reddito annuo della sig.ra Mills (18.500 sterline derivanti dall’attività lavorativa e 13.200 dall’assegno di mantenimento) e le sue esigenze economiche (che a quel punto comprendevano un affitto di 10.200 sterline). Everall, tuttavia, non riconobbe alcuna responsabilità al sig. Mills nei confronti dell’aumento dei bisogni della ex coniuge, i quali erano stati direttamente causati dalle decisioni prese da quest’ultima successivamente al primo ordine di pagamento rigettando, pertanto, entrambe le richieste. La Mills ricorse alla Corte d’Appello, che pronunciò una sentenza a suo favore ordinando un aumento a 17.292 sterline annue del suo mantenimento a copertura del disavanzo, per tutta la vita. L’ex coniuge fece appello alla Corte Suprema: in questo caso l’unico interrogativo da valutare fu se, tenuto conto del capitale corrisposto dal sig. Mills per soddisfare l’esigenza dell’ex coniuge di procurarsi un alloggio ai sensi del primo ordine, la Corte d’Appello avesse la facoltà diinterferire con la decisione del giudice Everall di non aumentare il [continua ..]
Storicamente, in Italia, l’entità del mantenimento erogato al coniuge finanziariamente debole in caso di divorzio (a differenza di quanto accade durante il periodo di separazione) e la durata dello stesso si sono basati su criteri simili a quelli previsti dalla Sezione 25 MCA 1973, in particolare tenendo conto delle risorse, del reddito e del tenore di vita di cui hanno goduto le due parti durante il matrimonio [11]. Si consideravano dunque il tenore di vita e la capacità del richiedente di procurarsi mezzi adeguati a provvedere al proprio mantenimento, applicando parametri simili a quelli applicati dai tribunali inglesi. Tuttavia, come si è anticipato sopra, nel maggio 2017, la I Sezione della Cassazione ha spazzato via, con una sentenza che è stata un vero terremoto per il diritto di famiglia italiano [12], un orientamento che aveva retto, a partire dal 1990, per oltre un quarto di secolo. Il tenore di vita matrimoniale non è più il parametro per valutare l’adeguatezza dei mezzi del coniuge che richiede un assegno per il proprio mantenimento dopo il divorzio, sostituito – secondo l’insegnamento della sentenza del 2017 – dalla semplice autosufficienza, rapportata a ciò che è necessario per una vita dignitosa. La maggior parte dei giudici di merito hanno seguito l’interpretazione fornita dalla Cassazione nel 2017, allineandosi al nuovo parametro dell’autosufficienza economica. Nel corso del 2017 e durante i primi mesi del 2018, la I Sezione della Cassazione ha più volte ribadito il proprio orientamento [13], finendo però per proporre una rilettura più flessibile del criterio dell’autosufficienza economica. La Corte di legittimità ha infatti affermato la necessità di adeguare il parametro dell’autosufficienza alle caratteristiche soggettive del coniuge richiedente l’assegno, alla sua “specifica individualità” [14], al “contesto sociale in cui è inserito” [15]. Questa lettura più mite del criterio dell’autosufficienza economica era stata anticipata da una sentenza della Corte d’Appello di Milano [16]. Altra parte della giurisprudenza di merito aveva invece espressamente disatteso l’insegnamento della sentenza di legittimità n. 11504/2017 [17]. In particolare, si segnala una sentenza dalla Corte [continua ..]
Le sentenze delle Corti Supreme, in entrambi i Paesi, offrono un riscontro dell’evidente tendenza verso un approccio più restrittivo nei confronti degli assegni di mantenimento nelle giurisdizioni europee. Tuttavia, la flessibilità chiaramente esistente in entrambe le giurisdizioni nell’emettere sentenze ad ampio spettro in fatto di mantenimento consente di tutelare nei casi concreti le diversità delle famiglie di oggi.