L’accordo tra i genitori nei rapporti con i figli è una regola a valenza generale. L’autrice esamina gli accordi relativi all’affidamento e quelli relativi alla determinazione del contributo al mantenimento della prole ed evidenzia il ruolo sussidiario che lo Stato è chiamato a svolgere nei rapporti tra genitori e figli e, più in generale, in ambito familiare, in quanto posizione centrale viene data all’autonomia delle parti declinata in ottica relazionale, anziché individuale. Come nella fisiologia del rapporto, anche dopo la crisi, la privatizzazione del conflitto, agevolata dall’intervento di un terzo, è in grado di favorire l’assunzione o la prosecuzione delle responsabilità derivanti dalla filiazione in modo equilibrato e armonico.
The agreement between parents in relations with children is a rule of general value. The author examines the agreements related to custody and those related to determining child support, and highlights the subsidiary role the State is called upon to play in relations between parents and children, and more generally in a family setting, as a central position is given to the parties’autonomy, articulated from a relational and not individual perspective. Similarly, in the physiology of the relationship, even after the crisis, the privatization of the conflict, facilitated by the intervention of a third party, can foster the taking on or continuation of the responsibilities derived from the parent-child relationship in a balanced, harmonious way.
1. L’accordo tra i genitori nei rapporti con i figli: una regola a valenza generale - 2. Gli accordi relativi all’affidamento e allo svolgimento dei rapporti con la prole - 3. Gli accordi per la determinazione del contributo e delle modalità di mantenimento - 4. La violazione degli accordi e i limiti degli strumenti di tutela coercitiva - 5. Cenni conclusivi - NOTE
Nell’attuale sistema, l’accordo tra i genitori rappresenta la regola del rapporto con i figli, destinata a rilevare dapprima nella definizione di aspetti fondamentali della loro identità, poi nell’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale e infine, nell’eventualità di una crisi, quale programma per la creazione e il funzionamento della “comunità dei genitori” che sopravvive alla disgregazione del nucleo [1]. Innanzitutto, l’accordo è da sempre implicitamente alla base della scelta del nome del figlio, dichiarato nell’atto di nascita da uno dei genitori ma intuibilmente concordato dalla coppia se coniugata o convivente (artt. 29 e 30, d.P.R. n. 396/2000). È divenuto col tempo il necessario presupposto per derogare alla regola “implicita” dell’attribuzione automatica del cognome paterno e, conseguentemente, per aggiungere fin dal momento della nascita il cognome della madre a quello del padre [2]. Infatti, in attesa dell’auspicato intervento del legislatore e della ridefinizione della materia in senso paritario, solo in presenza dell’accordo dei genitori il figlio sviluppa e proietta, nella costruzione della propria identità personale, il legame con entrambi i nuclei familiari [3]. Poi, l’accordo orienta l’esercizio delle funzioni condensate nell’espressione responsabilità genitoriale [4]. Invero, nel corso della convivenza familiare, i genitori sono portati naturalmente (ancor prima che giuridicamente: art. 316 c.c., 1° comma) a concordare le varie tappe del percorso formativo e di crescita dei figli. Per quanto riguarda il contenuto di questi accordi, adottati tacitamente nel definire le modalità di espletamento della responsabilità, l’autonomia dei genitori non può implicare la rinuncia o l’esautorazione totale o generalizzata di un genitore dallo svolgimento delle funzioni connesse, mentre potrebbe legittimamente pervenire ad ammettere un diverso peso educativo a ciascuno con riguardo ad aspetti specifici. D’altra parte, l’autonomia nella scelta della direzione da seguire tende a restringersi nel tempo per effetto della progressiva emersione, quanto più avanzano maturazione e definizione della personalità, delle capacità, delle aspirazioni e delle inclinazioni naturali dei [continua ..]
Le recenti riforme in materia di filiazione hanno valorizzato la regola dell’accordo anche nella fase successiva alla fine della convivenza familiare. Questa tendenza esprime una preferenza per un assetto concordato dagli stessi soggetti coinvolti, in luogo di regole stabilite e imposte dall’autorità giudiziaria; ciò non soltanto perché i diretti interessati possono definire gli aspetti relativi alla prosecuzione del loro rapporto con i figli in maniera più aderente alle esigenze della prole e più rispondente al loro nuovo assetto personale e familiare, ma, soprattutto, perché l’elaborazione di soluzioni condivise, anziché imposte dall’esterno, aumenta sensibilmente la propensione al rispetto degli impegni [8]. L’obiettivo perseguito dal legislatore è quello di mantenere il più possibile inalterato il rapporto tra autonomia e eteronomia, pur con l’inserimento delle cautele e delle alternative rese necessarie dalla difficoltà di raggiungere compromessi tra le parti in crisi oltre che dal rischio di strumentalizzazioni nella regolamentazione dei rapporti con i figli. Ecco che l’ampliamento dell’autonomia viene controbilanciato dal controllo giudiziale a garanzia dell’interesse dei figli, elemento che consente secondo taluni il perfezionamento della fattispecie e secondo altri opera come condizione di efficacia [9]. In questa fase l’accordo dei genitori, oltre a continuare a rappresentare la regola nell’esercizio della responsabilità genitoriale, può fondare e orientare l’adozione dei provvedimenti giudiziali relativi ai figli. Sul primo versante, l’affidamento condiviso implica che nell’esercizio della responsabilità genitoriale dopo la fine della convivenza familiare le decisioni di maggiore interesse per la prole (istruzione, educazione salute e residenza abituale dei figli) vengano adottate di comune accordo, sempre alla luce delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. Pertanto, la regola dell’accordo continua a presidiare l’adempimento dei doveri anche dopo la crisi. Due punti divergono rispetto all’assetto precedente: in caso di disaccordo, la decisione è rimessa al giudice, ossia al Tribunale ordinario competente per il procedimento chiamato a decidere sulla [continua ..]
Relativamente ai rapporti economici tra i genitori dopo la crisi, il 4° comma dell’art. 337 ter, dedicato alle modalità di adempimento dei doveri a contenuto patrimoniale nei confronti dei figli sancisce, da un lato, la regola del mantenimento diretto e l’eccezione («ove necessario») dell’assegno periodico e, da un altro lato, la regola della contribuzione proporzionale al reddito, facendo però salvi gli «accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti». In mancanza di accordo, il giudice stabilisce la corresponsione di un assegno periodico «al fine di realizzare il principio di proporzionalità», avendo come obiettivo la copertura delle normali esigenze del figlio rapportate al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, tenendo conto però di una serie di elementi quali: i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. Limitandoci ad osservare gli spazi di autonomia lasciati dalla norma ai genitori, va detto che rispetto allo spazio di manovra riconosciuto nella fase fisiologica e al principio di proporzionalità sancito dall’art. 316 bis c.c. (ancorato alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo, anziché al reddito), le discrepanze sembrano essere più apparenti che reali. Non sembra possibile, infatti, derogare alla regola della proporzionalità, come pure la lettera della norma sembrerebbe consentire, pena la violazione del principio di eguaglianza di cui è espressione [29] e del diritto del figlio ad essere mantenuto da entrambi i genitori (art. 30 Cost.) [30]; né, tanto meno, è dato ammettere che uno dei genitori sollevi l’altro dalla partecipazione al mantenimento del figlio, pena la rinuncia a un diritto indisponibile del figlio stesso quale è quello di essere mantenuto da entrambi i genitori anche dopo la crisi [31]. Semmai sembra possibile stabilire modalità diverse per la contribuzione al mantenimento e, avvalersi, dei summenzionati parametri per la determinazione dell’assegno periodico da parte del giudice proporzionale al reddito, al fine di stabilire di comune accordo, specie nei casi in cui permangano margini di dialogo e di solidarietà, forme [continua ..]
Il rispetto delle regole concordate, la leale collaborazione per agevolare l’adempimento dei doveri e l’impegno a cercare un accordo per le decisioni di maggiore interesse sono fondamentali per garantire e rendere effettivo il diritto del minore alla bigenitorialità. In caso di violazione degli obblighi e degli impegni, gli strumenti di tutela del credito possono consentire il soddisfacimento coattivo dei diritti a contenuto economico ma non la realizzazione degli accordi a contenuto personale (es. frequenza e modalità della frequentazione) che restano incoercibili. La particolare difficoltà di garantire l’esecuzione degli impegni di natura personale facendo ricorso agli strumenti presenti nel sistema [42] e la necessità di affidarsi allo spontaneo adempimento dei soggetti obbligati, sia pure “incoraggiato” dalle sanzioni penali (artt. 388 c.p., 570 c.p., 12 sexies l. divorzio) e dal rischio di una modifica delle condizioni dell’affidamento (art. 6., 5° comma, l. divorzio), è alla base della scelta di introdurre le misure di coercizione indiretta di cui all’art. 709 ter c.p.c. e dell’art. 614 bis c.p.c. In particolare, il 2° comma dell’art. 709 ter c.p.c. consente al giudice, dinanzi a «gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento», di avvalersi di una regola di tutela “composita”, volta a favorire l’osservanza dei provvedimenti riguardanti la prole e il superamento dei dissidi che paralizzano le scelte relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale dei figli, così da garantire condotte collaborative e rispettose degli obblighi [43]. Si prevede, infatti, che il giudice, chiamato a dirimere controversie relative all’esercizio della potestà genitoriale o alle modalità dell’affidamento condiviso, qualora rilevi “gravi inadempienze” o «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento» [44], possa ammonire il genitore inadempiente e quindi invitarlo a cessare la condotta lamentata, condannarlo al risarcimento dei danni nei confronti dell’altro e [continua ..]
Il ricorso agli strumenti di tutela esaminati è in grado di garantire una tutela effettiva per quanto concerne l’inadempimento degli impegni di ordine economico mentre le trascuratezze di natura personale (assistenza morale, educazione), attenendo a condotte incoercibili, richiedono ancor prima il convincimento e la persuasione dell’obbligato a ottemperare per il futuro inducendolo a riflettere sulla gravità delle conseguenze del suo operato e a riconsiderare la propria condotta per l’avvenire, neutralizzando il conflitto con l’ex-partner che ne è alla base. In questa prospettiva, appare fondamentale l’apporto della mediazione familiare come tecnica di risoluzione dei conflitti interni al nucleo destinata a sfociare in un accordo conciliativo [49], in quanto si concentra sul futuro e, attraverso il coinvolgimento dei diretti interessati, agevola l’emersione delle reali aspirazioni delle parti, senza costringerle a limitarsi ai rimedi tradizionali e ha generalmente un effetto positivo sul futuro svolgimento del rapporto. In particolare, nei rapporti con i figli, la eventuale rimodulazione dell’assetto inizialmente sancito dal provvedimento giudiziale con la partecipazione e l’accettazione del genitore riluttante vale ad evitare la prosecuzione degli inadempimenti. L’utilizzo della mediazione, d’altro canto, impedisce l’alterazione dei delicati equilibri interni alla famiglia, perché nell’esplicazione del ruolo sussidiario che lo Stato è chiamato a svolgere nei rapporti tra genitori e figli e, più in generale, in ambito familiare, una posizione centrale viene rivestita dall’autonomia, declinata in ottica relazionale anziché individuale. Come nella fisiologia del rapporto, anche dopo la crisi, la privatizzazione del conflitto, agevolata dall’intervento di un terzo, è in grado di favorire l’assunzione o la prosecuzione delle responsabilità derivanti dalla filiazione in modo equilibrato e armonico [50].