Il presente saggio riproduce, con l’aggiunta di un apparato essenziale di note, il testo della relazione tenuta a Trento il 26 maggio 2018 in occasione del VII Congresso giuridico distrettuale promosso dagli Ordini degli Avvocati di Trento, Rovereto e Bolzano.
L’autore tratta della comunione legale dei beni; in particolare, con riguardo alla comunione immediata, esamina la posizione del coniuge non agente coacquirente ex legequale destinatario degli effetti dell’acquisto, ma estraneo all’atto di acquisto e con riguardo alla comunione de residuo, distingue il momento della vigenza del regime legale da quello del suo scioglimento e si sofferma infine su quella particolare fattispecie di comunione de residuo che si origina dalla morte di uno dei coniugi in regime di comunione.
The author discusses legal community of property; in particular, with regard to immediate community, the author examines the position of the ex lege non-agent, co-purchasing spouse as recipient of the effects of the purchase, but extraneous to the act of purchase. He also, with regard to de residuo community, makes a distinction between the moment when the legal community system is in force and its dissolution. Lastly, the author deals with the particular case of de residuo community arising from the death of one of the spouses under the community system.
1. Premessa - 2. La comunione immediata dei diritti reali: la posizione del coniuge non agente coacquirente ex lege quale destinatario di (parte degli) effetti dell'acquisto ma estraneo all'atto di acquisto - 3. La comunione immediata dei diritti reali: la posizione processuale del coniuge non agente coacquirente ex lege - 4. La comunione differita. La natura della comunione differita durante la vigenza del regime legale - 5. (Segue). La natura della comunione differita al tempo dello scioglimento del regime legale - 6. La natura della comunione differita che si origina dalla morte di uno dei coniugi: acquisto iure proprio o iure successionis? - NOTE
Il tema degli acquisti dei coniugi in regime di comunione legale e della disciplina della comunione differita è assai ampio, tanto da non poter essere trattato con il necessario approfondimento nei tempi di una relazione convegnistica. Pertanto, d’accordo con gli organizzatori, ho ritenuto opportuno focalizzare l’attenzione soltanto su taluni aspetti della disciplina della comunione immediata e della comunione differita (o, come suol dirsi, de residuo) che presentano particolare interesse per l’operatore del diritto ovvero che sono stati oggetto di recenti pronunce giurisprudenziali.
I regimi patrimoniali della famiglia sono speciali statuti disciplinari che comportano l’applicazione di regole peculiari, divergenti dal diritto comune, relativamente ai beni e ai diritti acquistati dai coniugi durante la vita matrimoniale, alla loro amministrazione e alla responsabilità per le obbligazioni assunte dai coniugi stessi [1]. Tratto distintivo del regime patrimoniale legale introdotto nel nostro ordinamento con la Riforma del 1975 è l’ibridazione di un sistema imperniato sulla contitolarità immediata dei beni acquistati dai coniugi in costanza di matrimonio (art. 177, lett. a) e d), c.c.) con la previsione di un meccanismo di compartecipazione differita relativo a taluni specifici elementi patrimoniali (art. 177, lett. b) e c), e art. 178 c.c.) [2]. L’analisi comparatistica rivela, infatti, come gli ordinamenti a noi vicini tendenzialmente operino una scelta di fondo fra l’imposizione di una contitolarità o compartecipazione agli incrementi patrimoniali differita al momento della cessazione del regime (come avviene in Germania, con la Zugewinngemeinschaft) e la previsione di regole volte a stabilire l’immediata comproprietà sui beni acquistati durante la vita matrimoniale (come accade, ad esempio, in Belgio e in Francia [3]). La compresenza, nel nostro diritto, di entrambi i meccanismi di attuazione della contitolarità fra coniugi comporta, invece, la coesistenza di tre differenti “masse patrimoniali” (beni della comunione, beni personali, beni suscettibili di caduta in comunione differita) ed è all’origine di delicati problemi applicativi, che attengono al rapporto fra tali “masse” e soprattutto agli acquisti di beni mediante l’impiego di frutti di beni propri o redditi derivanti dall’attività separata. Muovendo dall’analisi del regime di comunione immediata, ai sensi dell’art. 177, lett. a), c.c., costituiscono – appunto – oggetto di contitolarità sin dal momento del loro perfezionamento gli acquisti compiuti «insieme o separatamente» dai coniugi durante la vita matrimoniale matrimonio (post nuptias). Peraltro, nell’acquisto compiuto “congiuntamente”, a rigore, la comunione legale non dispiega effetti acquisitivi in quanto l’acquisto sarebbe comune anche secondo i principi generali [continua ..]
L’estraneità del coniuge non agente rispetto all’obbligazione di prezzo e, più in generale, l’insussistenza della qualità di parte formale del negozio allo stesso, comportano altresì, secondo l’opinione dominante, che il terzo contraente non possa proporre nei confronti del primo eventuali domande di adempimento, ovvero di risarcimento del danno conseguente a responsabilità precontrattuali o contrattuali derivanti dal comportamento del coniuge stipulante. Dall’insussistenza della qualità di parte del coniuge coacquirente ex lege l’opinione dottrinale prevalente fa inoltre discendere il corollario secondo il quale soltanto al coniuge stipulante spetterebbero le azioni derivanti dal contratto d’acquisto, mentre l’altro non potrebbe agire neppure per l’adempimento (o l’esatto adempimento) nei confronti del terzo [13]. Detta posizione è giustificata sulla base della struttura dell’acquisto e corroborata dall’osservazione secondo cui, poiché è sul solo coniuge agente che grava l’obbligo di eseguire la controprestazione, soltanto egli deve essere ritenuto arbitro della valutazione relativa all’opportunità di agire nei confronti della controparte contrattuale onde ottenere l’adempimento o la risoluzione del rapporto contrattuale [14]. Conseguentemente, secondo l’opinione riferita, l’eventuale esercizio delle azioni di annullamento, risoluzione, rescissione del contratto di acquisto concluso “separatamente” da uno dei coniugi non costituisce atto di straordinaria amministrazione soggiacente alla disciplina di cui all’art. 184 c.c., bensì atto di spettanza del solo coniuge agente. All’altro coniuge, peraltro, si riconosce la legittimazione attiva all’azione di nullità, in forza della lata previsione dell’art. 1421 c.c., non potendosi negare la ricorrenza dell’interesse [15]. Diversamente accade, peraltro, per le azioni legate alla titolarità del diritto acquistato: la rivendica, l’accertamento della proprietà – più in generale le azioni reipersecutorie e recuperatorie – sono infatti ritenute azioni nella disponibilità del coniuge non agente, in quanto quest’ultimo è ormai titolare della cosa e dette azioni non toccano il rapporto [continua ..]
Venendo all’analisi della comunione de residuo, o meglio, differita, è opportuno premettere che, nel nostro ordinamento, si dice comunione legale differita quella situazione di compartecipazione agli acquisti che viene a formarsi in relazione a determinati cespiti, a condizione che questi si trovino ancora ad essere presenti nei patrimoni dei coniugi al tempo dello scioglimento del regime legale [16]. Occorre quindi chiarire quale sia l’oggetto di tale comunione, quale la sua ratio, quale la sua natura giuridica, onde comprendere come essa si atteggi, così prima come dopo lo scioglimento del regime legale. Ai sensi degli artt. 177 e 178 c.c., tre sono gli oggetti della comunione differita: 1) i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati al cessare del regime legale (art. 177, lett. b), c.c.); 2) i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi, anch’essi nella misura in cui risultino essere stati percepiti e non consumati (art. 177, lett. c), c.c.); 3) i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell’impresa costituita anche precedentemente, sempre nella misura in cui sussistano allo scioglimento della comunione (art. 178 c.c.). La ragione che sorregge la previsione di una comunione differita riposa, per le prime due, nel contemperamento fra l’esigenza, anche costituzionale, di solidarietà familiare e la tutela della proprietà e della remunerazione del lavoro; per la terza, nel contemperamento fra solidarietà familiare e garanzia della libertà di iniziativa economica [17]. Detto contemperamento è assicurato dal fatto che i beni suscettibili di entrare in comunione differita non sono, a rigore, “comuni” sino a che non si verifichi una causa di scioglimento della comunione legale; e ciò, ancorché neppure possano ritenersi beni personali, in quanto potenzialmente destinati, ove non consumati, a costituire oggetto della comunione tra i coniugi [18]. Dal punto di vista della garanzia patrimoniale dei creditori personali, peraltro, la condizione di tali beni – che si suole chiamare “propri”, per distinguerli da quelli “personali” ex art. 179 c.c. – è assimilabile a quella di questi ultimi, essendo aggredibili dai creditori personali, proprio in [continua ..]
Il momento di vera rilevanza della comunione differita è però quello dello scioglimento del regime legale: come si atteggia la comunione differita in tale momento? Sulla natura della comunione de residuo dopo lo scioglimento del regime sussistono notevolissime incertezze, che mettono capo a problemi interpretativi assai delicati. Come noto, infatti, mentre taluni ritengono che la comunione de residuo sia una vera e propria comunione «ordinaria» che si crea al tempo dello scioglimento del regime legale [20], altri hanno manifestato l’opinione secondo cui fra i coniugi verrebbe ad esistenza una pretesa di natura puramente creditoria [21]. Non v’è dubbio che la prima tesi sia la più rispondente al tenore letterale delle disposizioni, che in termini di «comunione» in effetti si esprimono. D’altra parte, poiché oggetto della comunione differita sono non soltanto somme di denaro – riguardo alle quali discorrere di comunione o di credito, tutto sommato, darebbe luogo a trattamenti disciplinari non poi così accentuatamente divaricati –, ma anche beni mobili e immobili (si pensi all’art. 178 c.c.), non appare affatto immediato accedere all’idea per cui un regime di contitolarità reale possa sorgere ex lege su tali cespiti in ragione del mero verificarsi di una delle situazioni elencate dall’art. 191 c.c., con l’evidente insorgere di problematiche di tutela dei terzi [22]. Senza contare – benché si tratti di argomento meramente “d’opportunità” – come postulare la nascita di una comunione ordinaria in relazione ai beni oggetto di comunione residuale conduca al discutibile risultato, almeno dal punto di vista di politica del diritto, di aumentare i legami economici fra i coniugi proprio nel momento in cui viene a porsi fine alla comunione, mentre tale inconveniente sarebbe di molto depotenziato ove si accedesse all’opposta tesi. Se è certo che la ricostruzione quale situazione reale del diritto del coniuge è più tutelante per il soggetto debole dell’unione, non può trascurarsi come gli inconvenienti cui dà adito detta tesi non siano di poco momento. Uno di questi è riconoscibile con immediatezza ove si analizzi un recente dictum della Corte di legittimità: Cass. 3 luglio [continua ..]
Il tema relativo alla natura del diritto, spettante al coniuge non titolare, a seguito dello scioglimento del regime patrimoniale legale si è peraltro, di recente, riaffacciato con prepotente rilevanza per effetto di una pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea, relativa al particolare caso in cui la comunione venga a cessare per effetto della morte di uno dei coniugi. L’interprete italiano, benché – come si è visto – debba fare i conti con la diversità di opinione ora tratteggiata riguardo alla natura reale o creditoria del diritto nascente in capo ai coniugi in relazione ai beni comuni de residuo di cui l’altro sia titolare, non nutre dubbi nel ritenere che, allorché lo scioglimento del regime legale consegua alla morte di uno degli sposi, il relativo acquisto del superstite non abbia natura successoria, non trattandosi di beni (o, secondo altra prospettiva, crediti) che il medesimo acquista iure hereditatis ma iure proprio, in virtù dell’operare delle regole del regime patrimoniale. La morte, infatti, in tali casi, non funge da ragione dell’acquisto, bensì da mera occasione dello stesso. Proprio un caso come questo è stato sottoposto all’attenzione dei giudici di Lussemburgo, al fine di ottenere una pronuncia pregiudiziale in ordine alla possibilità che l’acquisto post mortem conseguente all’operare delle regole del regime patrimoniale possa o meno costituire oggetto di segnalazione in un certificato successorio europeo, ai sensi del Reg. (UE) n. 650/2012. La fattispecie, precisamente, riguardava la successione di un cittadino tedesco avente residenza abituale in Germania e titolare (in vita) di una quota di comproprietà su un immobile sito in Svezia. In virtù dell’operare delle regole della successione legittima, il patrimonio del de cuius avrebbe dovuto essere suddiviso fra coniuge e figlio in ragione di una quota di un quarto al primo e di tre quarti al secondo (§ 1931, Abs. 1, BGB [23]), ma la quota ereditaria del coniuge, nel caso di specie, risultava incrementata di un ulteriore quarto del complessivo compendio ereditario in ragione della previsione di cui al § 1371, Abs 1 BGB [24] (richiamato espressamente dal § 1931, Abs. 3, BGB), secondo la quale – appunto – [continua ..]