Intervento tratto dal Master in diritto di Famiglia e dei Minori, organizzato da AIAF Lombardia in collaborazione con Just Legal Services, Scuola di Formazione Legale, anno 2008.
1. L'adozione piena. I principi generali - 2. Riservatezza e diritto di informazione - 3. L'adozione internazionale. I principi generali - 4. L'efficacia dei provvedimenti emessi da Paesi che non hanno aderito alla Convenzione né firmatari di accordi bilaterali con l'Italia - 5. L'adozione in casi particolari. I principi generali
L’adozione, c.d. piena o legittimante, ha la finalità di dare attuazione al diritto del minore, che si trovi in stato di abbandono, ad avere una famiglia in cui crescere ed essere educato, e comporta per lo stesso la cessazione dei rapporti con la famiglia d’origine e l’acquisizione dello stato di figlio legittimo degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome. Si può correttamente affermare che non vi è alcuna differenza sotto i più diversi profili (potestà, parentela, stabilità del rapporto, posizione successoria) tra prole legittima per nascita ed adozione. È stata in tal modo correttamente eliminata dalla riforma del 1983, la previsione originaria della legge del 1967 che escludeva il rapporto di parentela con i collaterali degli adottanti.(Dogliotti, 1996, p. 193). L’esigenza del minore abbandonato di trovare una famiglia che sostituisca in tutto e definitivamente la famiglia di sangue, non era sufficientemente realizzata dall’adozione ordinaria, anteriore al 1967, che attribuiva al genitore adottivo i doveri inerenti alla filiazione e l’esercizio della potestà, ma non lo sostituiva al genitore di sangue nella pienezza della sua posizione formale e sostanziale (Bianca, 2005, p. 416). Si giungeva così all’emanazione della l. 5 giugno 1967, n. 431, la quale disciplinava autonomamente l’istituto dell’adozione speciale accanto all’istituto della vecchia adozione, indicata come adozione ordinaria. L’adozione speciale si ispirava largamente ai principi formulati nella Convenzione di Strasburgo (24 aprile 1967) e si fondava sull’idea che il minore abbandonato deve divenire figlio a pieno titolo degli adottanti e trovare in essi la sua famiglia con esclusione di ogni ulteriore legame con la famiglia di origine. Pur avendo segnato un importante passo avanti nella tematica della protezione del minore, l’istituto dell’adozione speciale non aveva però dato nella pratica risultati pienamente positivi e non aveva avuto quell’applicazione che le esigenze dell’infanzia abbandonata reclamavano. Sollecitata da più parti è stata infine attuata una nuova riforma dell’adozione con la l. 4 maggio 1983, n. 184. A seguito di questa legge l’adozione del minore abbandonato non è più adozione speciale ma è l’adozione, e trova, [continua ..]
La l. n. 149/2001 è intervenuta a tutelare l’interesse dell’adottato a conoscere le proprie origini, pur tenendo conto del potenziale conflitto tra tale interesse e quello dei genitori di sangue e dei genitori adottivi, e ha operato una distinzione tra divieto di circolazione delle notizie relative al rapporto di adozione nei confronti dei terzi, e riconoscimento del diritto ad acquisire tali informazioni da parte dell’adottato e dei genitori adottivi (in dottrina, Lenti, 2003, p. 144 ss.; Fadiga, 2002, p. 712 ss.; Liuzzi, 2002, p. 89; Sacchetti, 2002, p. 97; Figone, 2003, p. 72). L’art. 28, 1° comma, l. n. 184/1983 modificato dalla l. n. 149/2001, riconoscendo al minore adottato il diritto ad essere informato della sua condizione, assegna ai genitori adottivi tale delicato compito, nei modi e termini che essi ritengono più opportuni. Gli stessi genitori adottivi, quali esercenti la potestà sul minore adottato, possono avere, previa autorizzazione del tribunale per i minorenni, informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici, qualora sussistano gravi e comprovati motivi. L’art. 28, 4° comma, prevede espressamente che il segreto sulle origini possa essere superato per tutelare il diritto alla salute del minore, e riconosce la possibilità di fornire informazioni anche al responsabile di una struttura ospedaliera o di un presidio sanitario, ove ricorrano i presupposti della necessità e dell’urgenza e vi sia grave pericolo per la salute del minore. Spetta al tribunale il compito di accertare che l’informazione sia preceduta e accompagnata da adeguata preparazione e assistenza del minore, ma evidentemente solo nel caso in cui si renda necessario estendere anche al minore le informazioni apprese dai genitori adottivi. Quanto al divieto di fornire attestazioni sullo stato adottivo, l’art. 28, 2° comma, confermando quanto sancito nel testo originario della l. n. 184/1983, stabilisce che qualunque attestazione di stato civile riferita all’adottato deve essere rilasciata con la sola indicazione del nuovo cognome e con l’esclusione di qualsiasi riferimento alla paternità e alla maternità del minore e dell’annotazione nel registro interno del tribunale per i minorenni, di cui all’art. 26, 4° comma. La stessa norma fa divieto all’ufficiale di stato civile, all’ufficiale [continua ..]
L’adozione internazionale si riferisce a minori di nazionalità diversa da quella degli adottanti. Nel suo ambito si distinguono l’adozione di minori stranieri da parte di cittadini italiani e l’adozione di minori italiani da parte di cittadini stranieri o italiani residenti all’estero (Bianca, 2005, p. 444). L’adozione internazionale è disciplinata dagli artt. da 29 a 43, l. n. 184/1983, come modificati dalla l. 31 dicembre 1998, n. 476 (“Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L’Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla l. 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri”). In dottrina, v. Morozzo della Rocca, 1999, p. 19 ss.; Sacchetti, 1999; sull’adozione internazionale in Italia dagli anni settanta ad oggi, Fadiga, 2002, p. 795. La l. n. 476/1998 è entrata in vigore il 27 gennaio 1999, ma le disposizioni di attuazione della Convenzione del 1993, contenute nell’art. 3 della legge, sono divenute efficaci solo il 1° maggio 2000, in quanto si è dovuto attendere, secondo quanto disposto dall’art. 46 della stessa Convenzione, fino al primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dopo il deposito dello strumento di ratifica, che per l’Italia è avvenuto in data 1° maggio 2000, dopo che era stato varato con d.p.r. 1° dicembre 1999, n. 492 il “Regolamento per la costituzione, l’organizzazione e il funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali”. Con la Deliberazione del 18 ottobre 2000 della Commissione per le adozioni internazionali (pubblicata sul supp. ord. n. 179 alla G.U. del 31 ottobre 2000, n. 255) che ha formato l’albo degli enti autorizzati allo svolgimento di pratiche di adozione internazionale, la Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993 è quindi divenuta operativa. La legge di riforma dell’adozione, n. 149/2001 non ha modificato la normativa in materia di adozione internazionale, limitandosi ad inserire nell’art. 35 l’obbligo di sentire il minore di età inferiore ai dodici anni, se ciò non altera il suo equilibrio psico-emotivo, e ad estendere nell’art. 43, ai cittadini italiani residenti all’estero, l’obbligo della segnalazione della permanenza del minore [continua ..]
L’adozione o l’affidamento a scopo adottivo, pronunciati in un Paese non aderente alla Convenzione dell’Aja del 1993 né firmatario di accordi bilaterali, possono essere dichiarati efficaci in Italia solo a seguito di un procedimento in cui il tribunale per i minorenni verifica la sussistenza delle condizioni indicate nell’art. 36 della legge sull’adozione (Sacchetti, 2000, p. 524). Detta norma si pone come regola speciale che deroga alla disciplina generale in materia di riconoscimento di sentenze straniere, come del resto si ricava dall’art. 41, 2° comma, l. n. 218/1995, che con riferimento al riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di adozione dispone che «restano ferme le disposizioni delle leggi speciali in materia di adozione di minori». Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza è da escludere la configurabilità di un riconoscimento automatico dei provvedimenti stranieri in materia di adozione di minori, secondo la regola generale di diritto internazionale privato stabilita dall’art. 64 della l. 31 maggio 1995, n. 218, essendo la dichiarazione di efficacia in Italia pronunciata volta per volta dal tribunale per i minorenni, sempre che – ove si tratti di adozione internazionale di minori non provenienti da Stati che hanno ratificato la Convenzione de L’Aja 29 maggio 1993, o che nello spirito di detta Convenzione abbiano stipulato accordi bilaterali – siano soddisfatti i requisiti fissati dall’art. 36 della l. 4 maggio 1983, n. 184 (nel testo sostituito ad opera della l. 31 dicembre 1998, n. 476). Il tribunale deve in tale caso accertare che: a) l’autorità straniera abbia emesso il provvedimento dopo aver verificato lo stato di abbandono del minore o raccolto il consenso dei genitori naturali ad una adozione che determini per il minore adottato l’acquisizione dello stato di figlio legittimo degli adottanti e la cessazione dei rapporti giuridici fra il minore e la famiglia d’origine; b) gli adottanti abbiano ottenuto dal tribunale per i minorenni il decreto di idoneità all’adozione internazionale previsto dall’articolo 30 e le procedure adottive siano state effettuate con l’intervento della Commissione per le adozioni internazionali e di un ente autorizzato; c) siano state rispettate le indicazioni contenute [continua ..]