Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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Soluzioni contrattuali per il passaggio generazionale: i controlli dell´amministrazione finanziaria sul labile confine tra condotta tipica, condotta elusiva ed abusiva (di Mara Pilla (Commercialista in Vicenza))


SOMMARIO:

1. Condotta tipica, condotta elusiva e condotta abusiva - 2. Patologia fiscale della donazione d'azienda - 3. Patologia fiscale della holding di famiglia - 4. Patologia fiscale della scissione - 5. Patologia fiscale del trust - 6. Patologia fiscale del patto di famiglia - 7. Conclusioni - NOTE


1. Condotta tipica, condotta elusiva e condotta abusiva

    Individuare l’erede giusto, dotato dell’attitudine imprenditoriale necessaria, rispettare le aspettative economiche e affettive dei familiari non prescelti per la prosecuzione della mission aziendale, inquadrare l’opzione strategica nell’ambito di una cornice giuridicamente ineccepibile, pagare la giusta imposta: una sfida, quella del passaggio generazionale dell’impresa a conduzione familiare, piuttosto complessa, la cui probabilità di successo risulta funzione di una molteplicità di parametri compositi. Gli strumenti giuridici tradizionali, come la donazione e il testamento, mostrano da qualche tempo sintomi di obsolescenza e di scarsa adattabilità rispetto alla struttura organizzativa tipica della realtà imprenditoriale continentale. A fronte di tali sintomi hanno reagito giuristi e consulenti di strategia aziendale con terapie, escogitate o d’importazione, che consentono maggiore flessibilità. Meno duttile, invece, la reazione del fisco di casa nostra, sempre un po’ restio a rece­pire le novità e molto cauto nell’analisi dei riflessi delle elucubrazioni giuridiche e di management sulle casse erariali. Nel contempo, definitivamente superata la ripartizione manichea tra contribuenti onesti ed evasori, la teoria dell’accertamento fiscale conosce una fase molto più filosofica dell’antico dualismo, saldamente corrispondente ai canoni della morale comune. Oggi s’insinuano, nelle valutazioni dei tributaristi, tre alternative condotte astratte, nell’ambito delle quali sarebbe qualificabile la condotta fiscale concreta: la condotta tipica, la condotta elusiva e la condotta abusiva. Allo stato attuale dell’evoluzione normativa [2], potrebbe dirsi condotta tipica fiscale solo quella in cui il contribuente, pur essendo homo oeconomicus, a fronte di due alternative civilisticamente equivalenti, manifesti l’opzione per quella fiscalmente più costosa. Condotta elusiva è quella del contribuente che, tra diverse alternative tra loro equipollenti sotto il profilo civilistico, purché ricomprese tra quelle codificate nella norma di cui all’art. 37 bis, d.p.r. n. 600/1973 [3], manifesti l’opzione per quella fiscalmente più conveniente senza dimostrazione della riconducibilità dell’opzione a valide ragioni economiche (non [continua ..]


2. Patologia fiscale della donazione d'azienda

    Desueto, si diceva, lo strumento della donazione d’azienda per la realizzazione di un passaggio generazionale strategico in epoca anteriore all’apertura della successione. All’anticonformismo del legislatore sostanziale, che per il donante esclude la donazione d’azienda dal novero delle operazioni realizzative mentre distingue diverse casistiche per il donatario, e condiziona la tassazione di favore nel comparto delle imposte di trasferimento a requisiti soprattutto di durata, fa da contraltare una giurisprudenza interpretativa, che valorizza gli effetti sul donante più di quelli che si producono sul donatario. Di qui, la visione di un negozio idoneo a concretizzare la spoliazione del patrimonio del donante a nocumento della garanzia universale dei suoi debiti, in particolare se debiti d’imposta pregressi. E accade che il giudice tributario autorizzi l’adozio­ne di misure cautelari sull’azienda che sarebbe stata donata col malcelato intento di sottrarsi al pagamento delle imposte [4]. La condotta di sottrazione, viepiù, può assumere rilevanza penale, laddove si connoti della fraudolenza dell’alienazione simulata (art. 11, d.lgs. n. 74/2000). La donazione d’azienda, inoltre, può vacillare di fronte all’archetipo dell’interposizione fittizia di persona (art. 37, 3° comma, d.p.r. n. 600/1973) [5]: «la disciplina antielusiva dell’interposi­zione, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta», così la Cassazione, sentenza n. 25671/2013 [6]. L’operazione posta in essere rimarrà efficace in ogni aspetto civilistico, ma l’amministrazione procederà alle rettifiche della tassazione, di fatto disconoscendola. Anche nell’ambito del comparto delle imposte indirette, infine, non manca lo spazio per paradigmi interpretativi ex art. 1362 codice civile: il principio di prevalenza della sostanza sulla forma risulta codificato nel corpo normativo di disciplina dell’imposta di registro (art. 20, d.p.r. n. 131/1986) [7]. E la giurisprudenza ha [continua ..]


3. Patologia fiscale della holding di famiglia

    Suscettibile di accertamento, inquadrabile nella categoria dell’evasione interpretativa, anche un altro strumento utile alla prevenzione di conflitti successori, la costituzione di holding di famiglia, in particolare nelle sembianze dalla holding estera. La pressione fiscale sulla distribuzione di dividendi nonché sulle plusvalenze realizzate in occasione del trasferimento di partecipazioni ha portato, in un passato non tanto remoto, all’alloca­zione di società dedite esclusivamente alla detenzione (holding statiche) o alla detenzione e alla gestione (holding dinamiche) di partecipazioni in paesi a fiscalità più favorevole, in particolare in Lussemburgo. L’allocazione della holding di famiglia all’estero risulta malferma sotto l’accusa dell’esterovesti­zione (art. 73, 3° comma, d.p.r. n. 917/1986), in base alla quale viene valorizzato il place of effective management per disconoscere la residenza estera, ricondurre la realtà societaria nel territorio dello Stato ed ivi assoggettarla a tassazione. Ancor più insidiosa, per effetto dell’inversio­ne legale dell’onere della prova, la forma dell’accertamento da esterovestizione a carico della società estera, controllata da società residente o amministrata da consigli di amministrazione costituiti da residenti, che detenga partecipazioni in società residente (art. 73, 5° bis comma, d.p.r. n. 917/1986). La tipologia accertativa, esperibile agevolmente anche grazie alla fervida attività della cooperazione internazionale, risulta particolarmente gravosa laddove l’attrazione degli imponibili in Italia si accompagna alla constatazione ex post dell’obbligo di tenuta delle scritture contabili nonché di esecuzione di tutti gli adempimenti fiscali, compresi quelli dichiarativi. Tali conseguenze si traducono in un aggravio sanzionatorio sensibile (artt. 1, 10° comma, e 9, d.lgs. n. 471/1997) e nell’alto tasso di probabilità di configurazione del reato tributario omissivo di cui all’art. 5, d.lgs. n. 74/2000, caratterizzato da una soglia [8] non particolarmente elevata. Non è più tempo nemmeno di ipotizzare la costituzione di holding estere per consentire la pianificazione successoria mediante trasferimento di [continua ..]


4. Patologia fiscale della scissione

    Un ulteriore strumento, che presenterebbe sia flessibilità sufficiente per garantire le esigenze di un passaggio generazionale non scriteriato, prestandosi ad accondiscendere alla volontà del­l’imprenditore di scegliere quale sia il proprio erede senza lesione delle aspettative successorie meramente patrimoniali degli altri interessati, sia neutralità fiscale, in quanto inquadrato dal legislatore tributario nella categoria delle operazioni non realizzative (art. 173, d.p.r. n. 917/1986) è la scissione [9]. Si tratta di un’operazione straordinaria idonea a dirimere conflitti tra soci nonché a permettere la separazione ragionata di diversi settori di attività in cui, soprattutto nella realtà economica continentale della fase espansiva, si sono diramate le realtà societarie in cui risulta concentrato anche il patrimonio immobiliare acquisito con utili reinvestiti. Il risultato della scissione, infatti, di consueto restituisce una società operativa sufficientemente agile, sollevata dalla zavorra immobiliare, e una società più conservativa, in cui rimangono vincolati gli investimenti di una vita. La prima accorda alla seconda generazione l’opportunità di misurarsi con una propensione al rischio indispensabile per reggere il competitivo mercato contemporaneo, ma al contempo potenzialmente foriera di effetti esiziali sul patrimonio accumulato dai fondatori prima della crisi, anzi, della recessione. La seconda integra l’aspirazione a detenere un forziere patrimoniale, che si avvantaggia di una gestione rimessa ad un consiglio di amministrazione ove spesso siedono professionisti, anziché di una gestione meramente unipersonale, e si presta ad assicurare la stabilità del tenore di vita della prima generazione o a tutelare la parte meno incline al rischio o dotata di meno attitudine della seconda generazione. Nel tempo, l’ora soppresso Comitato Consultivo per l’applicazione delle norme antielusive ha abbandonato la posizione originariamente favorevole allo strumento, quale modalità fiscalmente neutra di risolvere le conflittualità tra soci e generazionali, riconducendolo a fattispecie di matrice elusiva e pretendendo di sottoporlo ad un particolarmente rigoroso stress test delle valide ragioni economiche. Al Comitato Consultivo ha fatto concorde eco la [continua ..]


5. Patologia fiscale del trust

    Il trust, riconosciuto strumento idoneo al perseguimento di interessi meritevoli di tutela, alla stregua dell’art. 1322 c.c., si presenta attualmente come l’istituto più plastico per l’imprenditore che intenda progettare il passaggio generazionale. Dopo una prima fase di disorientamento, in cui il legislatore fiscale, mediante le usuali tecniche di assimilazione, non riusciva a riconoscere il DNA dell’istituto, il trust è stato ricondotto nel­l’alveo dei soggetti IRES (art. 1, 74° e 75° comma, l. n. 296/2006). Ciò non esclude che l’istitu­to rimanga passibile di attività accertative anche interpretative, anzi, enfatizza il dispiegarsi di tali attività su un numero più elevato di anni d’imposta, così compromettendo la garanzia del sistema delle decadenze. Infatti, per i soggetti IRES è prevista una modalità di determinazione del reddito imponibile che implica anche analisi discriminanti e valutative da ripetersi con cadenza annuale, cosicché una scelta originaria di natura fiscale operata nell’anno n, si presume per così dire rivisitata e implicitamente confermata negli anni successivi. Che accadrebbe se per avventura l’ipotizzata scelta fiscale originaria venisse ritenuta dall’amministrazione una violazione? La ripresa a tassazione soggiace in maniera soltanto pedissequa al limite della decadenza dall’attività di accertamento, cosicché l’amministrazione potrebbe sostenere oggi la tesi della sussistenza della violazione nell’anno n, per il quale sia già spirato il termine decadenziale, vedersi sì preclusa la possibilità della ripresa a tassazione nell’anno x, ma conservare l’opzione per il recupero del residuo che impatti sugli anni successivi per i quali non sia incorsa in decadenza (noto al grande pubblico un caso di ripresa a tassazione nell’anno n + x di una quota d’am­mor­tamento con contestazione rilevante anche sul piano penale, per una condotta originaria consapevole tenuta nell’anno n e negli anni successivi implicitamente confermata). Più difficile, insomma, raggiungere la tranquillità del rapporto giuridico esaurito, posizione particolarmente ambita in quest’epoca di evasione interpretativa in cui [continua ..]


6. Patologia fiscale del patto di famiglia

    Si trova meno sotto la lente d’ingrandimento del fisco, invece, la soluzione del patto di famiglia, che attraverso una sostanziale attenuazione del divieto dei patti successori e dell’irrinunciabilità dell’azione di riduzione, aspirerebbe a riscontrare la volontà dell’imprenditore che voglia riservarsi la facoltà di individuare per il futuro dell’attività l’erede più dotato di attitudine. La scarsissima applicazione concreta dell’istituto accompagnata all’unicità della relazione dello stesso col divieto dei patti successori, non rende particolarmente appetibile per l’amministra­zione intraprendere contestazioni concernenti condotte elusive o abusive. Difficile, insomma, individuare una condotta alternativa, più costosa fiscalmente, ma foriera dello stesso risultato civilistico, senza che, in uno o più snodi negoziali, si cozzi contro lo scoglio del tradizionale imperativo divieto. Meno astratto, invece, il rischio di un accertamento sintetico, onde appurare la provenienza della provvista con cui i beneficiari del patto liquidino la quota spettante agli altri legittimari.


7. Conclusioni

    Nel quadro delineato, che pure si frammenta in una molteplicità di metodologie accertative impiegate in parallelo o addirittura in combinazione, l’esperienza processuale si condensa su un aspetto comune sul quale lavorare nell’attività difensiva: il metodo inferenziale attraverso il quale si disvela all’amministrazione la prova presuntiva. Non è certo di matrice tributaria il metodo deduttivo per inferenza: ne viene che, a volerne riconoscere l’estrazione filosofica, ci si può compiacere di un delizioso aneddoto sulle regolarità fortuite [13]. Non son tutti superficiali gli aneddoti: capita di convincersi di aver colto in talune regolarità fortuite una generalità significativa, ma può essere che si sia responsabili della generalizzazione.


NOTE