Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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Aspetti sostanziali e processuali dell´impresa familiare (di Roberto Papaluca (Avvocato in Roma, Giuslavorista))


SOMMARIO:

1. Introduzione all'impresa familiare: scopo e natura giuridica, diritti scaturenti dalla partecipazione - 2. Cessazione dell'impresa familiare. Diritto alla liquidazione della quota - 3. Perdita dello status familiare. Convivenza more uxorio - 4. Effetti sul rapporto di impresa familiare del divorzio, della nullità del matrimonio e della separazione personale dei coniugi - 5. Aspetti processuali: competenza funzionale del giudice del lavoro. Onere della prova nel giudizio di liquidazione della quota. Prescrizione - NOTE


1. Introduzione all'impresa familiare: scopo e natura giuridica, diritti scaturenti dalla partecipazione

    L’istituto dell’impresa familiare, disciplinato dall’art. 230 bis c.c., è stato introdotto nell’ordina­mento giuridico dalla legge di riforma del diritto di famiglia n. 151/1975, con il preciso scopo di tutelare il lavoro familiare e contrastare la radicata presunzione di gratuità o di adempimento di un dovere di solidarietà sociale (causa affectionis vel benevolentiae) dello stesso. L’estrema lacunosità del dettato normativo ha più volte richiesto l’intervento del legislatore al fine di conferirgli non solo un’identità che, evidentemente, non aveva, ma altresì per dargli un’in­terpretazione più coerente con il sistema, tenuto conto dell’evoluzione sociologica del concetto di famiglia attorno al quale ruota. La dottrina e la giurisprudenza hanno spesso sottolineato il carattere residuale dell’istituto che si perfeziona, cioè, solo quando non sia configurabile un diverso rapporto giuridico e non si possa invocare un diverso strumento di tutela [2]. Dunque, ai sensi dell’art. 230 bis c.c. per impresa familiare si intende quella in cui collaborano continuativamente il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado. Essa esplica la sua efficacia nei soli rapporti interni tra l’imprenditore ed i partecipanti all’impresa familiare, mentre nei rapporti esterni si atteggia come un’impresa individuale, con la conseguenza che solo il “titolare” della stessa risponde con i propri beni per le relative obbligazioni assunte (i familiari-collaboratori non subiscono le conseguenze di un eventuale fallimento!). Quanto alla natura dell’impresa familiare, la legge non prevede alcuna peculiarità per la costituzione della stessa; la tesi prevalente ravvisa il titolo costitutivo nell’attività del familiare, ovvero di un rapporto di collaborazione non fondato su vincolo contrattuale, ma sulla solidarietà familiare. In particolare, si è affermato che l’impresa familiare trova la sua fonte nella legge e non nel contratto, vale a dire nel riconoscimento normativo di un’attività economica continuativamente esercitata da un gruppo familiare [3]. Dalla partecipazione all’impresa familiare scaturisce, per il familiare [continua ..]


2. Cessazione dell'impresa familiare. Diritto alla liquidazione della quota

    La cessazione dell’impresa familiare può avvenire sia per motivi strettamente legati alla cessazione della stessa attività: per morte dell’imprenditore, trasferimento dell’impresa, liquidazione, fallimento, decisione volontaria; sia per il venir meno del rapporto tra l’imprenditore ed il familiare. Lo scioglimento del rapporto, limitatamente al singolo partecipante, può dipendere da diverse cause: per impossibilità del familiare a continuare nell’attività lavorativa in via definitiva (non occasionale o temporanea), ad esempio morte, malattia, infortunio, ecc.; perdita dello status di familiare. A seguito della cessazione della prestazione di lavoro, il singolo familiare ha diritto, in ogni caso, alla liquidazione della sua partecipazione, ossia alla liquidazione di utili e di incrementi individuati in funzione della qualità e quantità del lavoro prestato. Secondo il 4° comma dell’art. 230 bis c.c. il diritto di partecipazione «può essere liquidato in danaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione di lavoro». La formula facoltativa “può” consentirebbe che la quota non venga liquidata affatto, ma dai più si ritiene che il diritto non sia sopprimibile e la relativa valutazione della quota debba essere effettuata con riguardo al momento in cui si verifica l’estinzione del rapporto, come si dirà in avanti.


3. Perdita dello status familiare. Convivenza more uxorio

    La volontà normativa non lega automaticamente e necessariamente la cessazione del rapporto di impresa familiare alla perdita dello status (“titolo”) di familiare. L’esistenza del titolo familiare, dunque, indispensabile per la costituzione del rapporto di impresa familiare non deve sussistere per l’intera durata del rapporto che, viceversa, può restare in vita fintantoché vi sia in concreto l’apporto lavorativo. Questo potrebbe essere, ad esempio, il caso del coniuge dell’imprenditore il cui matrimonio sia sciolto per divorzio o dichiarato nullo, ma può interessare anche il rapporto di affinità per la pronuncia di nullità del matrimonio da cui deriva. Del resto non sarebbe giustificato un interesse dell’ordinamento ad imporre una cessazione del rapporto di impresa familiare contro la volontà degli interessati, sebbene la relazione personale non abbia più i caratteri originari e la stessa prestazione lavorativa abbia perso i caratteri di specialità che rendevano applicabile la disciplina del 230 bis c.c. La tesi più accreditata è quella, dunque, che ravvisa nel venir meno del titolo familiare non una ipotesi di cessazione automatica del rapporto di impresa familiare quanto piuttosto una causa di esclusione del rapporto stesso, o di recesso del collaboratore. A tal proposito, giova ricordare che il potere di far cessare il rapporto relativamente al singolo partecipante spetta solo all’imprenditore, salvo il diritto dell’escluso al risarcimento del danno nel caso di una ingiusta esclusione, oltre, in ogni caso, alla liquidazione degli utili e degli incrementi [9]. Se la perdita dello status di familiare, indispensabile al configurarsi dell’impresa familiare, non determina automaticamente e necessariamente il venir meno del rapporto di impresa familiare, ci si chiede se un rapporto di impresa familiare possa configurarsi all’interno di una convivenza more uxorio, priva sin dall’origine di detto status. Ebbene, poiché l’ordinamento positivo ritiene la famiglia di fatto un organismo capace di assolvere le tipiche funzioni familiari allo stesso modo della famiglia legittima, devono ritenersi senz’altro applicabili, per analogia, al convivente more uxorio tutte le norme relative al rapporto coniugale [continua ..]


4. Effetti sul rapporto di impresa familiare del divorzio, della nullità del matrimonio e della separazione personale dei coniugi

    Richiamando quanto sin qui detto a proposito del venir meno del titolo di familiare, analizziamo le conseguenze che la pronuncia di divorzio e di nullità del matrimonio, nonché della separazione personale dei coniugi hanno sul rapporto di impresa familiare. Individuando il fondamento dell’impresa familiare nell’esecuzione di una prestazione lavorativa, continuativa, svolta per ragioni affettive e solidaristiche, seppur in presenza di un vincolo legale, si osserva come la posizione del coniuge privato dello status a seguito di divorzio sia pressoché uguale a quella del coniuge privato dello status a seguito di pronuncia di invalidità, in quanto alla base vi è il medesimo titolo idoneo alla costituzione del rapporto di impresa familiare, cioè il matrimonio. Infatti il matrimonio, sebbene radicalmente nullo, è produttivo di effetti fino a che la nullità non venga dichiarata giudizialmente. Quindi, se è innegabile che l’invalidità del matrimonio comporti l’inidoneità del “negozio” ad attribuire la qualità di coniuge, ciò tuttavia non comporta la rimozione dei rapporti posti in essere sulla base dello status co­niugale. Ed invero, è stato osservato che, relativamente ai contratti di durata, applicandosi in via analogica l’art. 2126 c.c. [11], l’accertamento dell’invalidità opera ex nunc e non ex tunc. Del resto non mancano in tal senso conferme nel nostro ordinamento, ed il riferimento, in particolare, è alla norma che regola lo scioglimento della comunione tra i coniugi (art. 191 c.c.) e che colloca l’annullamento del matrimonio tra le cause di scioglimento della comunione, e­scludendo l’efficacia ex tunc della pronuncia di invalidità [12]. Tale quadro normativo consente di affermare che la pronuncia di invalidità del matrimonio non ha efficacia retroattiva sul rapporto di impresa familiare, trovando questo il proprio fondamento nella prestazione dell’attività lavorativa eseguita, in modo continuativo, dal coniuge. Pertanto, sia quanto alla sentenza di divorzio che alla pronuncia di invalidità, la perdita del titolo formale di coniuge dovrà considerarsi una semplice causa di cessazione della partecipazione al­l’impresa e non di [continua ..]


5. Aspetti processuali: competenza funzionale del giudice del lavoro. Onere della prova nel giudizio di liquidazione della quota. Prescrizione

    Come si è detto, la cessazione del rapporto di impresa familiare, qualunque ne sia la causa, fa sorgere per il singolo partecipante cui si riferisce il diritto alla liquidazione della sua partecipazione, ossia alla liquidazione di utili e di incrementi individuati in funzione della qualità e quantità del lavoro prestato. Tra le cause di scioglimento dell’impresa familiare abbiamo visto che può esserci, ma non necessariamente deve, la separazione personale dei coniugi ed il divorzio, allorché il deteriorarsi dei rapporti “familiari” rendano altresì impossibile la prosecuzione del rapporto di impresa familiare. È bene specificare che diversamente da quanto avviene per lo scioglimento della comunione legale dei beni, il cui separato giudizio si svolge sul presupposto processuale del passaggio in giudicato della sentenza di separazione (o separazione consensuale omologata) e di divorzio [16], riguardo al rapporto di impresa familiare la separazione ed il divorzio non comportano automaticamente la cessazione dello stesso, in quanto nulla vieta che l’ex coniuge possa continuare lo svolgimento dell’attività di impresa. Tuttavia, nella realtà, l’ipotesi più frequente è quella del recesso conseguente alla separazione e, pertanto, i diritti patrimoniali del coniuge recedente andranno determinati ai sensi dell’art. 230 bis c.c. Le controversie concernenti i rapporti di impresa familiare rientrano nella competenza funzionale del giudice del lavoro, con conseguente applicazione del relativo rito speciale. Ed infatti, per unanime giurisprudenza, rientrano in tale competenza, oltre al rapporto di lavoro subordinato, gli altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato, nell’ambi­to dei quali sembra essere sicuramente ricompreso il rapporto di impresa familiare. Si tratta, però, di un giudizio in cui la cessazione della collaborazione e la pretesa liquidazione di diritti economici hanno una radice familiare e non imprenditoriale, nel senso che l’uscita del familiare dall’impresa ha origine dal conflitto coniugale, pertanto caratterizzato da una grande emozionalità e conflittualità. Il processo risulta, inoltre, particolarmente [continua ..]


NOTE