Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


L'assegno di separazione, l'assegno di divorzio e i diritti patrimoniali dopo lo scioglimento del vincolo (di Valentina Rascioni. Magistrato della Sez. I civile del Tribunale di Ancona)


L’articolo esamina le conseguenze patrimoniali tra i coniugi in caso di separazione e di divorzio, soffermandosi sull’obbligazione di mantenimento e l’assegno divorzile (differenti per natura, condizioni, termini, …) e gli altri diritti patrimoniali, in particolare con riguardo alla pensione di reversibilità ed al trattamento di fine rapporto.

The article examines patrimonial consequences of legal separation and divorce, focusing on maintenance obligations between spouses (different in nature, conditions, terms, …) and other patrimonial rights regarding, in particular, survivor’s pension and severance pay (TFR).

SOMMARIO:

1. L'assegno di mantenimento a seguito di separazione e sue conseguenze - 2. La posizione dell'ex coniuge divorziato - 3. Il diritto alla quota di indennità di fine rapporto - 4. La tutela offerta al titolare dell'assegno


1. L'assegno di mantenimento a seguito di separazione e sue conseguenze

Il diritto di famiglia italiano è stato per lungo tempo permeato dal principio di derivazione cristiana dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale. Prima dell’entrata in vigore della l. 1° dicembre 1970, n. 898, in particolare, salve limitate eccezioni in cui i coniugi riuscivano ad ottenere l’annullamento del vincolo tramite il tribunale ecclesiastico oppure grazie a sentenze di divorzio pronunciate all’estero e riconosciute in Italia, era quindi possibile soltanto la separazione personale dei coniugi ai sensi degli artt. 150 ss. c.c. Lo stesso diritto canonico, del resto, riconosceva da secoli la separazione quale condizione che non risolve né interrompe diritti e doveri discendenti dal rapporto coniugale, ma semplicemente ne sospende alcuni, con particolare riferimento agli obblighi di coabitazione e di fedeltà, restando invece sostanzialmente immutata la solidarietà economica tra le parti e soprattutto i doveri nei confronti della prole. L’art. 156, 1° comma, c.c. sancisce in particolare il diritto del coniuge al quale non sia stata addebitata la separazione di «ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri»; il 2° comma precisa poi che «tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato». Diversamente dal coniuge cui sia addebitabile la separazione (il quale ai sensi del 3° comma, art. 156 c.c. potrà eventualmente ottenere soltanto gli alimenti ove sia privo di qualsiasi mezzo di sostentamento ed anche della possibilità di procurarsi un lavoro), il coniuge esente da responsabilità avrà quindi diritto a ricevere quanto necessario per mantenere (per quanto possibile) il tenore di vita che ha caratterizzato la famiglia nel periodo precedente rispetto alla crisi coniugale. I presupposti per il riconoscimento dell’assegno di mantenimento nell’ambito della separazione risultano quindi ben diversi rispetto a quelli che caratterizzano l’assegno divorzile: la giurisprudenza di legittimità ha del resto ricordato anche di recente che «la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i redditi adeguati cui va rapportato, ai [continua ..]


2. La posizione dell'ex coniuge divorziato

Diversa è invece la posizione dell’ex coniuge che, ai sensi dell’art. 9, l. n. 898/1970, ha diritto al riconoscimento della pensione di reversibilità soltanto ove il ricorrente non sia passato a nuove nozze e fruisse già in concreto dell’assegno divorzile (in considerazione di quanto precisato dall’art. 5, l. 28 dicembre 2008, n. 263); occorre poi che il rapporto di lavoro da cui deriva la pensione sia sorto prima della sentenza di divorzio. La presenza di un coniuge superstite avente anch’egli diritto alla pensione di reversibilità, peraltro, non preclude di per sé il diritto dell’ex coniuge, ma semplicemente lo limita ad una quota che verrà concretamente attribuita dal tribunale in considerazione «della durata del rapporto»; a seguito della sentenza della Corte cost. n. 419/1999, in particolare, il tribunale competente farà riferimento alla durata del rapporto matrimoniale tenendo comunque conto di «correttivi di carattere equitativo applicati con discrezionalità», con particolare riferimento alla «durata del­l’eventuale convivenza prematrimoniale del coniuge superstite» ed alla «entità dell’assegno di­vorzile in favore dell’ex coniuge» (leggasi ad esempio Cass. civ., Sez. I, sent. 21 giugno 2012, n. 10391). È stato del resto osservato che tale ripartizione «non è strumento di perequazione economica fra le posizioni degli aventi diritto, ma è preordinato alla continuazione della funzione di sostegno economico, assolta a favore dell’ex coniuge e del coniuge convivente, durante la vita del dante causa, rispettivamente con il pagamento dell’assegno di divorzio e con la condivisione dei rispettivi beni economici da parte dei coniugi conviventi» (cfr. Cass., Sez. I, sent. 21 settembre 2012, n. 16093).


3. Il diritto alla quota di indennità di fine rapporto

Una regolamentazione ancora diversa risulta prevista per quanto riguarda il diritto ad ottenere una quota dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge al momento della cessazione del rapporto di lavoro, prevista dall’art. 12 bis, della L. n. 898/1970 soltanto in favore dell’ex coniuge titolare di assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze, anche ove l’in­dennità venga a maturare dopo la sentenza. Nessun diritto può quindi vantare il coniuge separato, salva la possibilità di chiedere un incremento dell’assegno di mantenimento in considerazione delle maggiori disponibilità economiche comunque pervenute alla controparte. Il tribunale non ha poi alcuna discrezionalità per quanto riguarda la determinazione della quota da attribuire, dovendo semplicemente provvedere ad un calcolo matematico, ovvero a dividere «l’indennità percepita per il numero degli anni di durata del rapporto di lavoro, moltiplicando» poi «il risultato per il numero degli anni in cui il rapporto di lavoro sia coinciso con il rapporto matrimoniale» ed infine «calcolando il quaranta per cento su tale importo» (cfr. Cass., Sez. I, sent. 6 luglio 2007, n. 15299). In tale contesto (ben più rigido di quello previsto per il riconoscimento di una quota della pensione di reversibilità) «il legislatore si è ancorato ad un dato giuridicamente certo ed irreversibile quale la durata del matrimonio, piuttosto che ad un elemento incerto e precario come la cessazione della convivenza, la quale non implica in modo automatico il totale venire meno della comunione di vita tra i coniugi, escludendo, pertanto, anche qualsiasi rilevanza della convivenza di fatto che abbia preceduto le nuove nozze del coniuge divorziato titolare del trattamento di fine rapporto» (leggasi ad esempio Cass., Sez. I, sent. 31 gennaio 2012, n. 1348). La domanda ha in ogni caso ad oggetto le somme effettivamente percepite, non essendo ipotizzabile un’eventuale condanna condizionata del datore di lavoro a versare una quota delle somme che verranno eventualmente versate in futuro (cfr. Cass., Sez. I, sent. 23 marzo 2004, n. 5719); né possono esser tenute in considerazione le eventuali anticipazioni ricevute dal dipendente durante la convivenza matrimoniale o anche durante la separazione personale, discutendosi di somme ormai [continua ..]


4. La tutela offerta al titolare dell'assegno