L’autore nel compiuto commento della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 18287/2018 evidenzia la particolare importanza data nella pronuncia alla durata del matrimonio come fattore che incide in maniera quasi sempre decisiva sulla traiettoria esistenziale di ciascun ex coniuge e al contributo dato alla vita familiare da ciascuno dei coniugi e agli incrementi patrimoniali, per cui ne escono fortemente valorizzati il lavoro endofamiliare, svolto soprattutto dalla donna, insieme con il valore economico e morale delle rinunzie professionali che questa ha accettato di fare in nome di un impegno più intenso nella vita familiare, aprendo uno spazio ampio e in gran parte nuovo per l’elaborazione della giurisprudenza di merito, in applicazione in concreto della c.d. e più volte ripetuta equiordinazione.
The author, in a complete comment on the decision of the United Sections of the Supreme Court of Cassation n. 18287/2018, underscores the particular importance the pronouncement gives to the duration of the marriage as a factor with an almost always decisive impact on the trajectory of existence of each former spouse, and to the contribution made by each of the spouses to the family’s life, and to increased assets. Great value, then, is given to work done within the family, especially by women, along with the economic and moral worth of the professional sacrifices women have accepted making in the name of a more intense commitment to family life. This opens more – and to a great degree new – space for developing the related case law, in concrete application of the so-called and oft-repeated principle of equiordinazione.
1. L'evoluzione della norma e della sua interpretazione - 2. L'importanza centrale dell'assegno di divorzio nel contesto italiano - 3. La sentenza delle Sezioni Unite del 2018 - 4. Come definire oggi l'assegno
La sent. n. 18287/2018 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione rientra nel genere delle sentenze legislative (se mi si passa l’aggettivo): la loro crescente frequenza manifesta lo spostamento progressivo della funzione legislativa, che il parlamento non ha più la capacità di svolgere adeguatamente, in capo alla Corte Suprema, ben oltre la sua tradizionale funzione nomofilattica. Il principio di diritto di questa sentenza – simile a un testo normativo – integra e in parte riscrive l’art. 5, 6° comma, l. divorzio, non lasciandosi troppo condizionare dal suo tenore letterale. La lunga trattazione che lo precede (oltre 71.000 battute, corrispondenti a circa 20 pagine di questa rivista) è un’accurata relazione di accompagnamento, che espone le motivazioni che hanno portato ad affermare la regola scritta nel principio di diritto e ne discute ampiamente. Assomiglia alle relazioni parlamentari che fino a qualche decennio fa accompagnavano le leggi di una qualche importanza, descrivevano la situazione fattuale e il quadro normativo in cui si inserivano, ne chiarivano le intenzioni e davano indicazioni per interpretarle. L’art. 5, 6° comma, l. divorzio non ha mai brillato per completezza e perspicuità, né nella sua versione originaria del 1970, né in quella riformata nel 1987. Il testo del 1970 stabiliva che il Tribunale “dispone” l’assegno in proporzione alle sostanze e ai redditi dell’obbligato, applicando tre criteri: le «condizioni economiche dei coniugi» (fine assistenziale), le «ragioni della decisione» (fine sanzionatorio) e il «contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi» (fine perequativo-compensativo). Secondo la lettura che si era affermata nella giurisprudenza di quegli anni, l’assegno aveva carattere “composito”, dunque non solo un fine assistenziale; inoltre il giudice, secondo le circostanze del caso di specie, poteva anche non tener conto di tutti i criteri di legge, ma soltanto di alcuni. Ne risultava un margine di discrezionalità amplissimo, molto spesso criticato dalla dottrina, perché gravemente lesivo del principio di certezza del diritto. Il testo del 1987 – tra l’altro – aveva proprio il dichiarato intento di ridurre tale discrezionalità. [continua ..]
Nel diritto italiano l’assegno di divorzio ha un’importanza maggiore che in altri paesi a noi vicini per varie ragioni: le più importanti attengono alla generale condizione di maggior debolezza economica della donna nella società e non hanno attinenza diretta con il diritto matrimoniale. Mi limito a un rapidissimo cenno: la materia è ampiamente studiata da economisti e sociologi. Il mercato del lavoro italiano tratta il lavoro femminile meno bene di quello di altri paesi europei di analogo sviluppo economico e sociale, salvo che ai livelli di qualificazione e di retribuzione più bassi. Non solo, ma l’essere donna costituisce tuttora un ostacolo per molte carriere lavorative: non le impedisce, com’era un tempo nei fatti e in qualche caso anche per il diritto, ma di certo le rende più difficili, tanto nella fase iniziale, dell’accesso, quanto nelle fasi successive, della crescita della posizione professionale, della “carriera”. La ripartizione dei compiti fra uomo e donna nella gestione della vita familiare in Italia è rimasta legata a modelli culturali del passato più di quanto lo sia in gran parte dei Paesi europei: è quindi più lontana dalla regola di divisione paritaria di ogni compito domestico. L’intervento sociale pubblico per la famiglia, in particolare per l’accudimento dei figli durante la giornata lavorativa, è gravemente carente, diversamente da altri paesi europei a noi vicini, soprattutto per la scarsità dei servizi offerti e per i limiti imposti per accedervi. Ciò rende più difficile soprattutto per le donne svolgere attività lavorative extradomestiche a tempo pieno senza con ciò sacrificare eccessivamente la funzione di cura dei figli. Questa carenza ha addirittura una ricaduta negativa sul tasso di natalità, come emerge dal raffronto con altri paesi a noi vicini. Vi è poi anche una ragione specifica, tutta interna al diritto italiano, che riguarda le moltissime coppie che hanno un qualche patrimonio, anche modesto, acquisito durante la convivenza grazie ai loro risparmi, come la casa d’abitazione o un conto titoli in banca: il completo fallimento della comunione legale, che viene ormai sistematicamente evitata dalle coppie che contraggono matrimonio. Ne è uscito così frustrato l’intendimento del legislatore del 1975, che voleva [continua ..]
Questa sentenza sottopone a revisione critica tanto l’orientamento inaugurato dalle Sezioni Unite nel 1990, che ha imperato per decenni, quanto la nuova lettura dei “mezzi adeguati” data dalla sent. n. 11504/2017. La Corte aggira la questione del parametro in base al quale i mezzi vanno considerati adeguati: se quello della sent. n. 11490/1990 o quello della sent. n. 11504/2017. Sceglie invece di dare la sua risposta seguendo un iter logico completamente diverso, una sorta di terza via. Proprio per questo le sue critiche sono prioritariamente rivolte alla sent. n. 11490/1990. a) Critiche alla sentenza delle Sezioni Unite del 1990 La prima e principale critica è rivolta contro l’impostazione stessa del percorso decisionale del giudice, cioè la rigida scissione tra la valutazione sul se e quella sul quanto. Tale scissione, secondo la Corte, non sarebbe un portato necessario del testo normativo: questo potrebbe essere interpretato in modo diverso e «più coerente con il quadro costituzionale di riferimento costituito […] dagli artt. 2, 3 e 29 Cost.» (par. 10 della sentenza). Mi sembra che così la Corte faccia un po’ di violenza al testo normativo: benché alla fine del par. 10 lo neghi, la sua negazione si regge a mio avviso su meri artifici verbali. Comunque sia, abbiamo ormai fatto l’abitudine a interpretazioni poco letterali (a volte necessitate: basti pensare ai pasticci testuali della l. n. 76/2016), con il fine di adattare le norme alle mutate esigenze sociali, che il legislatore non è più capace cogliere: un po’ perché in altre faccende affaccendato e un po’ perché in materie eticamente delicate, come il diritto di famiglia, è molto spesso paralizzato da vacui scontri ideologici. La Corte critica poi l’identificazione del parametro dell’adeguatezza dei mezzi con la conservazione del tenore vita matrimoniale: ripete più volte che può dar adito a conseguenze ingiuste, in particolare a un ingiustificabile arricchimento per il percettore dell’assegno, come ampiamente messo in luce dalla dottrina. Tutto ciò salvo casi particolari, come quello dei matrimoni durati per un tempo molto molto breve. b) Critiche alla sentenza della Sezione I del 2017 La principale critica contro questa sentenza riguarda il parametro che identifica [continua ..]