La significativa riduzione dei termini per poter ottenere il divorzio all’esito della separazione a seguito della l. n. 55/2015 rende ben più concreto il rischio della coesistenza tra il processo di separazione e il processo di divorzio. L’autore, nell’attesa che il legislatore intervenga in maniera organica sulla materia, si sofferma su diverse questioni processuali che si stanno palesando nella coeva pendenza dei due giudizi, che può riguardare anche diversi gradi di giudizio e offre soluzioni interpretative ai diversi interrogativi che si stanno ponendo nella prassi giudiziaria: quando è che si profila la necessità di sospendere il giudizio di divorzio per attendere gli esiti di quello di separazione, quando e se è ammissibile la riunione dei due giudizi e quale è la portata del provvedimento presidenziale del giudizio di divorzio, all’esito della sentenza del giudizio che accoglie o rigetta la domanda di assegno divorzile.
The significantly reduced amount of time required for being able to obtain a divorce upon the outcome of separation following Law n. 55/2015 renders entirely more tangible the risk of the separation process coexisting with the divorce process. The author, pending the lawmakers’ organic intervention in the matter, discusses various issues of process that are being revealed in the two suits’ simultaneously pending status, which may also involve different levels of appeal, and offers interpretative solutions for the various questions being raised in judicial practice: When can the need be seen to suspend the divorce suit in order to await the outcome of the separation suit? Is the joinder of two suits admissible, and, if so, when? What is the scope of the measure by the president of the court in the divorce suit, upon the outcome of the decision upholding or rejecting the request for divorce allowance?
1. Premessa - 2. In particolare, della coesistenza del giudizio di separazione in grado di appello e del giudizio di divorzio in primo grado - 3. I provvedimenti presidenziali del giudizio di divorzio - 4. Č possibile la riunione dei due procedimenti? - 5. Conclusioni - NOTE
I vari interventi legislativi in materia di diritto di famiglia, comprendendosi in essa anche i procedimenti riguardanti i minori nati da genitori non coniugati, non si sono affatto armonizzati con il codice del processo. L’attuale disciplina del c.d. processo di famiglia appare, invero, quanto mai frastagliata e complessa e molti sarebbero i temi su cui soffermarsi, volendo auspicare un quanto mai necessario intervento da parte di un legislatore che dia finalmente coerenza ai vari istituti di diritto processuale che riguardano latu senso la famiglia. Merita soffermarsi tuttavia su uno degli aspetti che sembrano più problematici e che nella pratica giudiziaria sta creando non poche disomogeneità applicative ed interpretative che rendono quanto mai incerta la materia di cui si tratterà. Si intende far riferimento alla possibile coeva pendenza tra le stesse parti del processo di separazione e di divorzio, l’intersecarsi fra di essi e la necessità di individuare dei criteri che possano guidare l’interprete per definire situazioni che, ai più, appaiono ancora fonte di incertezza. Le difficoltà interpretative si sono accentuate, come è noto, dalla possibilità che, sia nel processo di separazione che in quello di divorzio, possa emettersi da parte del giudice adito una sentenza non definitiva, sullo status – ma sarebbe più corretto parlare di sentenza parziale, tralasciando la formulazione letterale delle norma – affidando quindi al proseguimento dell’istruttoria gli altri aspetti della controversia. Le norme di riferimento sono l’art. 709 bis c.p.c. che disciplina l’istruttoria nei processi di separazione giudiziale, stabilendo, tra l’altro, che: «nel caso in cui il processo debba continuare, per la richiesta di addebito, per l’affidamento dei figli o per le questioni economiche il tribunale emette sentenza non definitiva relativa alla separazione». Avverso tale sentenza è ammesso soltanto appello immediato che è deciso in camera di consiglio. Norma sostanzialmente identica è quella dell’art. 4, l. n. 898/1970, 12° comma, secondo cui: «nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell’assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. [continua ..]
È possibile altresì che la sentenza sugli altri capi della separazione – l’affidamento dei minori, l’assegnazione della casa coniugale, o l’addebito o le altre questioni patrimoniali – sia stata nel frattempo emessa e contro di essa sia stato proposto appello. Potrà così profilarsi l’ipotesi in cui vi sia contestuale pendenza dell’appello nella separazione (non sullo status) e dell’istruttoria in primo grado per il divorzio, imponendosi un approfondimento se tale coesistenza processuale comporti delle conseguenze. L’esempio ora prospettato può arricchirsi di ulteriori connotazioni: nella sentenza di separazione è stato riconosciuto l’addebito alla moglie e per tale motivo le è stato negato l’assegno di mantenimento a carico del marito, in applicazione dell’art. 156 c.c. (con le ulteriori conseguenze previste dagli artt. 548 e 585 c.c.). Contro tale sentenza costei ha proposto appello, chiedendo la modifica del capo della sentenza sull’addebito e reiterando la richiesta di assegno di mantenimento. Nel frattempo è iniziato il processo di divorzio nel quale la moglie ha chiesto riconoscersi l’assegno divorzile a carico del marito. In quest’ultimo processo viene emessa la sentenza non definitiva sullo status e lo stesso prosegue, a norma di legge, sulle determinazioni relative, appunto, l’eventuale diritto della oramai ex coniuge ad ottenere assegno divorzile. Occorre allora porsi il quesito se l’appello pendente sulla sentenza di separazione possa avere qualche rilevanza su quello di divorzio e, in sintesi, se questo, il cui oggetto oramai attiene esclusivamente alla decisione sull’assegno richiesto dalla ex moglie, debba essere sospeso, ex art. 295 c.p.c., in attesa che passi in giudicato la sentenza di separazione sul capo dell’addebito. La giurisprudenza peraltro riconosce ipotesi di sospensione del processo di divorzio allorquando siano pendenti questioni attinenti al provvedimento di separazione (consensuale o giudiziale che sia) che, pur definitivo, sia comunque oggetto di un ulteriore procedimento finalizzato a valutarne l’invalidità o l’inefficacia [3]. È pur vero infatti che l’addebito della separazione ad uno dei due coniugi preclude esclusivamente per costui di ricevere l’assegno di mantenimento (e non anche [continua ..]
Evidentemente collegata alla questione ora posta, e per alcuni aspetti prodromica alla medesima, è quella per cui, comunque pendente l’appello nella causa di separazione, i coniugi debbono preventivamente comparire dinanzi al Presidente del Tribunale per la causa di divorzio, dovendosi perciò valutare il contenuto e la portata dei provvedimenti emessi in questa udienza, rispetto a quelli contenuti nella sentenza di separazione non definitiva per la quale vi è pendente il gravame. La fattispecie può essere oggetto di diversi approfondimenti ma, sia consentito un pensiero incidentale: ciò che emerge nell’attuale panorama dei processi di cui si sta trattando è la sostanziale inutilità dell’udienza presidenziale sia nella separazione che nel divorzio, che appare oramai residuo di un sistema da lungo tempo superato, ed che ha come effetto evidente esclusivamente quello di diluire ancor più i tempi della trattazione sia dell’uno che dell’altro, in situazioni in cui è sin troppo evidente l’esigenza, e a volte la necessità, di giungere quanto prima alla definizione della controversia [5]. L’attività del Presidente del Tribunale potrebbe essere oramai ben affidata al GI alla prima udienza di trattazione, attribuendo a questi di disporre in via d’urgenza i provvedimenti provvisori, oggi affidati al Presidente, eventualmente reclamabili al Collegio, consentendo così di evitare l’ulteriore e gravosa fase processuale del gravame in Corte d’Appello, che, in molti distretti, giunge allorquando la causa di separazione è già giunta alla fase della decisone di merito. Questa è certamente una considerazione de iure condendo, certi tuttavia che la materia impone una radicale trasformazione proprio nel meccanismo processuale. Tornando alla trattazione del tema riguardante i profili problematici dell’udienza presidenziale collegati alla contestuale pendenza del processo di separazione e divorzio è utile richiamare la previsione contenuta all’art. 5, 8° comma, l. n. 898/1970 secondo la quale «… il presidente, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori nonché, disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, dà, anche d’ufficio, con [continua ..]
Altre ipotesi potrebbero prospettarsi ed occorre pertanto tentare di operare una sintesi non certo esaustiva ma che almeno può agevolare, se non suggerire, criteri interpretativi più certi. Si è già detto del processo di separazione giudiziale in cui si discuta sull’addebito di essa e sulle conseguenze che lo stesso può avere nella regolazione dell’assegno di mantenimento di un coniuge verso l’altro. In tal caso, l’istruttoria potrà risultare complessa, sicché, nel frattempo, potrà essere emessa la sentenza parziale di separazione, ciò consentendo, come visto, di iniziare, il processo di divorzio a cui potranno accedere le questioni sulla regolazione dell’assegno divorzile. La più che consolidata prassi giurisprudenziale (ma iniziano ad profilarsi alcuni significativi ripensamenti) non consente che tali processi siano riuniti e giustifica altresì che il processo di separazione, nonostante l’incardinarsi di quello di divorzio, possa proseguire se permane in una delle parti un concreto ed effettivo interesse [7]. Come precedentemente prospettato il processo di divorzio, almeno per i capi riguardanti l’assegno, non potrà proseguire se prima non è definita, nel coesistente processo di separazione, la questione sull’addebito che, ove riconosciuto a carico della parte che pretende l’assegno di divorzio, comporterà comunque per essa il riconoscimento di una misura più ridotta dell’assegno divorzile in applicazione dell’art. 5, l. n. 898/1970, seppur rivisto in virtù delle più recenti sentenze della Cassazione [8]. Non potendosi riunire i due giudizi, potrà comunque procedersi ad una trattazione dinanzi al medesimo GI almeno al fine di razionalizzarne la prosecuzione [9]. Cosa impedisce, allora, sotto il profilo sistematico la riunione tra i due giudizi? E su quale fondamento può basarsi la necessità del simultaneus processus? Sembra evidente che la questione nasce proprio per la circostanza che mediante la previsione delle sentenze non definitive è saltato il meccanismo per cui non poteva iniziarsi il processo di divorzio se non dopo che si fosse concluso quello di separazione. Nel vigore della precedente disciplina anteriore alla riforma del 2005 e succ. mod. che ha introdotto l’art. [continua ..]
Correttamente può osservarsi che le questioni sinora proposte non dipendono direttamente novella, ed erano già ben individuabili anche sotto il precedente regime processuale, ancor prima dell’introduzione sia della negoziazione assistita che del nuovo divorzio, è anche vero tuttavia che, nei fatti, la significativa riduzione dei termini per poter ottenere il divorzio all’esito della separazione, in qualunque modo essa sia stata ottenuta, rende ben più concreto il rischio della coesistenza tra processi. Prima della novella, infatti, per la sola circostanza che, dovendo prima necessariamente trascorrere almeno tre anni dalla comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente del Tribunale, il processo di divorzio non poteva essere iniziato nell’immediatezza di quello di separazione, e gli eventuali procedimenti di modifica delle condizioni di separazione, essendo procedure in camera di consiglio, trovavano sovente definizione ancor prima che fosse depositato da uno dei coniugi il ricorso per divorzio, così da non accavallarsi con esso.