Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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Come vivere il diritto di famiglia (di Gloria Servetti (Magistrato ordinario – Presidente della Sezione Nona Civile del Tribunale di Milano))


SOMMARIO:

1. Il "diritto vivente" nel diritto di famiglia - 2. Quantificazione degli assegni periodici di mantenimento - 3. Equità del giudice e criteri predeterminati - 4. Conclusioni


1. Il "diritto vivente" nel diritto di famiglia

    Quando si parla del diritto di famiglia è facile trovare un riferimento al “diritto vivente” e questo perché, più che in altri settori del sapere giuridico, nelle norme del codice civile e in quelle delle leggi speciali che ineriscono ai rapporti familiari, ai soggetti minori, agli istituti della separazione e del divorzio nonché ai procedimenti in cui si collocano le controversie delle coppie di fatto, si trovano interstizi che lasciano un consistente spazio a una applicazione che non sia rigida e stereotipata ma, al contrario, fluida e modellata al caso concreto: e proprio questi spazi consentono all’operatore di adattare lo schema normativo, senza negarne il carattere cogente e senza superarne i confini, all’evoluzione del costume sociale, alle istanze del cittadino, al modificarsi della realtà che contraddistingue un determinato momento storico e uno specifico ambito territoriale. La società non tollera fissità e immobilismo, la norma è per sua natura conformata secondo uno schema ma si può cercare di coniugare i movimenti propri della prima con la strutturale tendenziale rigidità della seconda; per farlo non è tuttavia consentito giungere a snaturarla, forzarla e ancor meno ignorarla, l’intervento deve essere di cesello, rispettoso, sapiente e sempre condotto con lo sguardo volto avanti, e questo perché è la realtà sociale e umana ad essere inarrestabile nel suo percorso. Un chiaro esempio di ciò si rinviene non appena ci mettiamo a riflettere sul tema del diritto di mantenimento del coniuge e della prole nell’ambito dei giudizi di separazione e divorzio, dal momento che le norme, solo all’apparenza chiare e finalisticamente esaustive, rappresentano per l’interprete e per chi sia chiamato a darvi applicazione una continua sfida e, al tempo stesso, una mai finita esortazione a plasmare il principio di diritto sino a renderlo aderente al caso concreto, così da almeno tentare di pervenire a una risposta corrispondente a quel criterio di giustizia vera che si configura come irrinunciabile. E, allora, basti pensare a quante volte ci si trova a dover fare i conti con il concetto, ormai divenuto cardine dell’impianto normativo in materia, del “tenore di vita”: concetto del quale è facile percepire il significato così come le ragioni che [continua ..]


2. Quantificazione degli assegni periodici di mantenimento

    Qualche anno fa con l’AIAF e con l’avv. Pini abbiamo in più occasioni affrontato il tema della possibilità, o meno, di individuare criteri uniformi per la quantificazione degli assegni periodici di mantenimento e di dare vita a una sorta di “tabella” che consentisse agli avvocati di fare delle ragionevoli previsioni su quella che sarebbe stata la decisione, ai coniugi di riflettere anticipatamente sulle verosimili conseguenze economiche della loro crisi di coppia, ai giudici di non fare esclusivo ricorso all’esercizio della loro discrezionalità, con il rischio di giungere a risultati fra loro troppo diversificati e di essere di conseguenza tacciati di incongruo esercizio di quel potere/dovere che dovrebbe, in sintesi, essere una garanzia e non un potenziale rischio. Si esaminarono al tempo gli orientamenti espressi da vari uffici giudiziari e si dedicò attenzione all’esame della nota sentenza del Tribunale di Firenze (sent. 3 ottobre 2007, est. Governatori), frutto diun’attività istruttoria articolata e svolta con l’ausilio di una pluralità di consulenti tecnici e ausiliari, dotati di non comuni competenze statistiche. La riflessione conclusiva fu, tuttavia e fermo l’indiscusso apprezzamento per l’impegno da molti tribunali profuso in questa impervia direzione, che l’irrigidimento dei criteri e la schematizzazione della casistica non sempre si traducono in un vantaggio sul piano della bontà della decisione finale e, soprattutto, su quello della sua effettiva equità e giustizia del trattamento riservato alle parti: rammento che con Milena Pini ci fu un momento di comune riflessione sul fatto che se è vero che risultati troppo diversificati in situazioni per quanto possibile analoghe sono sintomo di scarsa giustizia sostanziale, il problema non può tuttavia essere risolto attraverso schemi e tabelle ma grazie a uno sforzo sinergico di avvocati e giudici, tutti però dotati di quella specializzazione vera e “a tutto tondo” che di per sé rappresenta l’effettiva garanzia per una giurisdizione equa e vicina ai bisogni dei suoi utenti. Oggi, come allora, la giurisprudenza di legittimità si muove sulle direttrici consolidate dell’indi­viduazione del tenore di vita della famiglia, o anche solo della coppia, nel periodo della condivisione della vita, dei [continua ..]


3. Equità del giudice e criteri predeterminati

    Quali riflessioni possono scaturire da queste ultime enunciazioni di principio? Mi sentirei di dire che nessuna preconfezionata tabella, nessun rigido schema e nessun criterio enucleato a priori potrebbe mai consentire di raggiungere il risultato di equità che il legislatore, prima, e la Corte di legittimità, poi, hanno posto al giudice di merito come obiettivo finale: ogni situazione deve essere esaminata e, mi sia consentito l’azzardo, vissuta dal giudice e dall’operatore del diritto nel suo articolato complesso, come fosse propria di coloro che dal di fuori si pongono nel processo di valutazione e in un’ottica, voluta dalla norma, di adozione dei necessari correttivi rimediali, affinché il risultato sia il più possibile equo e non veda né vincitori né vinti, né ricchi né poveri ma realizzi una nuova distribuzione delle risorse affinché le differenze siano tendenzialmente ridimensionate e al lutto della fine di un’unione non faccia seguito la fine di una vita costruita su abitudini, certezze, solidarietà e affidamento. Inevitabile a questo punto dedicare un momento di riflessione all’ord. 22 maggio 2013 con la quale il Tribunale di Firenze ha ritenuto di investire la Corte costituzionale della questione di costituzionalità dell’art. 5, l. n. 898/1970 e successive modificazioni «nell’interpretazione di diritto vivente per cui in presenza di una disparità economica tra i coniugi l’assegno divorzile deve necessariamente garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, in relazione agli artt. 2, 3 e 29 della Costituzione». Ineccepibile, anche per l’impostazione sin qui seguita, il riferimento al diritto vivente «come quel significato della disposizione che si è affermato in pratiche consolidate della giurisprudenza avallate e confermate da orientamenti della Corte di Cassazione», quanto a dire come «un approdo interpretativo perché pressoché incontrastato in giurisprudenza», «una soluzione interpretativa collaudata» (sent. n. 77/1997), con l’effetto che «l’interpretazione consolidata dellaCassazione viene assunta come significato obbiettivo della legge, diventando impermeabile al potere interpretativo della Corte Costituzionale». Meno [continua ..]


4. Conclusioni