La prestazione di lavoro subordinato a favore di un familiare si presume a titolo gratuito secondo la giurisprudenza; la presunzione di gratuità non opera invece per la prestazione di lavoro a favore di una società di capitali.
Rilevato come la presunzione di gratuità del lavoro subordinato leda fortemente il diritto del familiare lavoratore e si ponga in contrasto con i principi costituzionali dettati dagli artt. 1, 36 e 29 Cost., l’articolo analizza un caso concreto oggetto di pronuncia del Tribunale di Verona nella quale la presunzione di gratuità è stata applicata anche al lavoro subordinato prestato dalla ricorrente a favore di una società a responsabilità limitata di cui il marito era socio e presidente del consiglio di amministrazione.
Case law assumes that subordinate work performed for a family member is provided free of charge; but this assumption of free labour is not operative for work done for a limited company.
Finding that the presumption of free subordinate labour strongly harms the rights of the working family member and conflicts with the constitutional principles dictated by artt. 1, 36, and 29 of the Italian Constitution, the article analyzes a concrete case subject to a ruling by the court of Verona (Tribunale di Verona) in which the presumption of free labour was also applied to subordinate work done for a limited/liability company (società a responsabilità limitata) by the petitioner, whose husband was a partner as well as chairman of the board of directors.
1. Premessa - 2. Il lavoro subordinato - 2.1. Il lavoro subordinato tra i coniugi - 2.2. Il lavoro subordinato nella costituzione: brevi cenni - 3. Un caso concreto: sentenza del Tribunale civile di Verona dell’8 febbraio 2017, n. 530/2016 - 3.1. Il caso e le doglianze del coniuge/lavoratore subordinato - 3.2. Le controdeduzioni del coniuge/datore di lavoro (nel caso specifico: la società) - 3.3. La decisione del giudice: una visione restrittiva dell’attività lavorativa subordinata di un coniuge a favore dell’altro - 4. Conclusioni e criticità - 5. La sentenza 8 febbraio 2017, n. 530/2016, RG n. 373/2014 - NOTE
l legislatore non ha fornito una definizione di lavoro subordinato, preferendo invece qualificare il prestatore di lavoro subordinato, secondo quanto previsto dall’art. 2094 c.c., quale soggetto che si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore. La giurisprudenza ha poi ricostruito i tratti sintomatici della subordinazione, enucleando quelli che vengono definiti i c.d. indici empirici [1], quali: – l’oggetto della prestazione, ovvero le energie lavorative applicate secondo le diretti ve ed il controllo del datore di lavoro; – l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione dell’impresa; – l’assenza di rischio; – la continuità della prestazione lavorativa; – l’orario di lavoro; – l’organizzazione del lavoro, ricadente sul datore di lavoro; – le modalità della retribuzione.
Nell’attività lavorativa prestata dal coniuge possono essere distinte due ipotesi problematiche: a) Quando il lavoro subordinato viene prestato nell’ambito familiare In questo caso si pone all’evidenza dello studioso un problema fondamentale: la prestazione lavorativa si presume, secondo la giurisprudenza, prestata a titolo gratuito. Ciò proprio in forza della centrale presenza del rapporto di coniugio o del vincolo di parentela (art. 77 c.c.) o di convivenza tra datore e prestatore di lavoro. La giurisprudenza è ferma nel ritenere che il lavoro prestato in favore del coniuge professionista o imprenditore individuale deve presumersi gratuito, così come il lavoro prestato dal familiare in favore del socio di una società di persone che abbia il controllo della società (socio di maggioranza o amministratore unico) [2]. Pertanto, il primo “scoglio” da superare è rappresentato dalla prova dell’onerosità del rapporto di lavoro subordinato reso a favore del coniuge [3], ovverosia della sussistenza di un rapporto di eterodirezione e del pagamento di una retribuzione fissa. Prova che ricade inevitabilmente su chi intende eccepire la natura gratuita della prestazione lavorativa stessa. In tal modo, quando la prestazione lavorativa è resa nell’ambito familiare, viene sostanzialmente “capovolto” il principio secondo cui, in via generale, ogni attività oggettivamente configurabile quale prestazione di lavoro si deve presumere effettuata a titolo oneroso. Al contrario, essa si riterrà riconducibile ad un rapporto diverso, istituito affectionis vel benevolentiae causa, e caratterizzato quindi dalla gratuità della prestazione. Inevitabilmente, il limite al ragionamento è che risulti dimostrata ex adverso, da chi fruisce della prestazione, la sussistenza della finalità di solidarietà, in luogo di quella lucrativa [4]. b) Altra ipotesi particolare si ha nel caso in cui il coniuge svolge attività lavorativa a favore di una società di capitali (s.r.l., s.p.a. e s.a.p.a.) In questo caso la prestazione lavorativa si ritiene resa a favore di un soggetto giuridico del tutto autonomo e distinto dal coniuge e dai parenti stessi e, pertanto, non dovrebbe operare la presunzione di gratuità, sul presupposto che il datore di lavoro non è il coniuge ma la [continua ..]
Va pur sempre ricordato che nella Costituzione italiana il lavoro occupa uno spazio di importante rilievo. Infatti, come è noto, già nel 1° articolo della nostra Costituzione si legge che: «L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro». La Repubblica riconosce altresì a tutti i cittadini un diritto al lavoro (art. 4 Cost.), nel senso che lo Stato deve intervenire per rimuovere gli ostacoli e promuovere le condizioni che consentano a chiunque di immettersi nel mercato del lavoro. Il lavoro nella Costituzione viene poi regolamentato su alcuni principi fondamentali (es. pari opportunità, tutela del lavoro e durata massima della giornata lavorativa ecc.). Ebbene, tra questi, l’art. 36 Cost. riconosce al lavoratore il diritto ad una retribuzione sufficiente ad assicurare a sé ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa, principio di fatto in contrasto con la presunzione di gratuità del lavoro subordinato laddove prestato nell’ambito di rapporti di coniugio. Si tratta pur sempre di principi costituzionali che devono orientare Dottrina e Giurisprudenza e, ancor prima, lo stesso legislatore, affinché non sia possibile enucleare istituti che si espongono alle censure di incostituzionalità. Ecco che anche per il lavoro del coniuge, seppur presunto gratuito, richiede una interpretazione costituzionalmente orientata atta ad un maggior equilibrio tra garanzie costituzionali e diritto vivente.
Al fine di comprenderne a pieno i profili problematici connessi al tema trattato è interessante spendere un richiamo ad una vicenda processuale concreta che, in definitiva, rappresenta quel diritto vivente che si forma nelle aule di Tribunale in forza del quale emergono le questionimaggiormente dibattute [6].
Il caso è quello di una signora che, nel corso del matrimonio, aveva lavorato per diversi anni alle dipendenze di una società a responsabilità limitata di cui il marito era socio e presidente del consiglio di amministrazione e di cui il cognato e la suocera erano a loro volta soci e consiglieri. La signora, nello specifico, aveva prestato la propria attività lavorativa in detta società per ben 13 anni quando è iniziata una crisi con il marito che ha poi portato allo scioglimento del vincolo matrimoniale. Nonostante lo stabile inserimento all’interno della struttura aziendale, il rapporto di lavoro tra la signora e la società non era mai stato regolarizzato e la stessa non aveva ha mai ricevuto una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità delle mansioni svolte. Dato il rapporto di coniugio, era difatti demandato esclusivamente al marito il pagamento in denaro del compenso alla signora, che avveniva in contanti, nella misura di circa 300,00-350,00 euro per settimana. In mancanza di un regolare contratto di lavoro, di conseguenza, la società non aveva neppure mai versato i contributi previdenziali ed assistenziali spettanti alla signora, con la conseguenza che la stessa ricorrente dopo ben 13 anni di lavoro, si è trovata senza alcuna pensione e senza alcun contributo previdenziale ed assistenziale versato per l’attività prestata. Per tutte le ragioni sopra esposte – seppur brevemente – la signora ha adito il Tribunale di Verona al fine di ottenere il riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata a tempo indeterminato per il periodo di lavoro svolto al servizio della società del marito e della di lui famiglia ed il conseguente pagamento delle differenze retributive calcolate con riferimento alla retribuzione spettante ad un lavoratore, inquadrato come quadro livello 1 CCNL settore terziario distribuzione e servizi – viste le mansioni di fatto espletate – oltre alla costituzione e comunque regolarizzazione della posizione previdenziale e assistenziale. Un breve chiarimento; la società in questione si occupava della distribuzione di giornali ed, in particolare, di tutti i servizi legati all’editoria e al trasporto diretto della fornitura alle edicole. Ciò detto, la signora aveva svolto per 13 anni la propria attività lavorativa seguendo costantemente un rigido [continua ..]
Il dato più significativo sta, inevitabilmente, nel prosieguo della vicenda concreta; la società si è costituita in giudizio contestando la fondatezza del ricorso, rilevando che la ricorrente, nel corso del tempo, si era recata saltuariamente nell’azienda di famiglia, senza giorni e orari stabiliti, senza vincoli né obblighi e senza altrui controllo. In buona sostanza, la società ha dedotto l’infondatezza del ricorso, per non aver controparte individuato alcun elemento in grado di dimostrare che la ricorrente fosse assoggettata al potere direttivo, gerarchico e disciplinare della società, nei medesimi termini pretesi dalla giurisprudenza in genere e in maniera ancor più rigorosa quando la subordinazione è invocata dalla moglie del consigliere e amministratore rappresentante della società. La società, quindi, ha allegato l’insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, sostenendo che si trattasse di prestazioni lavorative rese in ambito familiare, da intendersi compiute affectiones vel benevolentiae causa, poiché il supporto lavorativo dato dalla moglie al marito doveva reputarsi derivante da sentimenti di benevolenza, gratitudine e spirito di solidarietà che trovavano il loro humus proprio nell’ambito della struttura familiare. A riprova di ciò – in tesi – quando è intervenuta la crisi coniugale, la ricorrente non si è più presentata in azienda, dimostrando così che finito il legame familiare, parimenti è finito il senso solidaristico del suo apporto in azienda.
Il giudice, contrariamente alle aspettative, ha deciso la causa negando la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, dando prova di un’applicazione fortemente restrittiva degli indici sintomatici della subordinazione elaborati dalla giurisprudenza. La ricorrente infatti, a detta del giudice, non avrebbe dimostrato di avere svolto attività lavorativa in favore della società resistente con le caratteristiche tipiche del lavoro subordinato. I testimoni avrebbero sì confermato un inserimento stabile della ricorrente nell’organizzazione aziendale e la continuità della sua prestazione, però dalle dichiarazioni di questi emergerebbe altresì che l’attività svolta dalla stessa trovava la sua giustificazione e il suo fondamento non tanto nella causa tipica del rapporto di lavoro subordinato (svolgimento di prestazione lavorativa in cambio di una retribuzione) bensì nei vincoli familiari esistenti con i titolari con ruoli operativi nella società. In particolare, centrale è risultato per il giudice il vincolo con il marito, e quindi la volontà di fornire il proprio apporto non retribuito alla conduzione dell’azienda di famiglia, dalla quale derivano i redditi utilizzati per far fronte a tutte le necessità del proprio nucleo familiare. Determinante per il decisum è stata la pretesa insussistenza di un potere direttivo del datore di lavoro, tale da estrinsecarsi nell’emanazione di ordini specifici, oltre che nell’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo nell’esecuzione della prestazione di lavoro. Requisiti quest’ultimi fondamentali del lavoro subordinato, il quale è caratterizzato proprio dall’eterodirezione, cornice in cui si collocano tuti gli ulteriori requisiti c.d. sussidiari. La predetta sentenza è stata appellata dalla difesa della signora, poiché basata su di una erronea valutazione delle risultanze probatorie, nonché tale da non aver tenuto in considerazione le peculiarità della fattispecie concreta. Invero, al fine di accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro, il giudice deve procedere ad una valutazione globale di tutte le circostanze di fatto, tenendo conto pur sempre della particolarità della fattispecie concreta e segnatamente del rapporto coniugale che lega la lavoratrice ai soci e agli [continua ..]
Come di consueto, al di là dei ragionamenti teorici, è di fronte al diritto vivente, al caso pratico, che si possono trarre alcune considerazioni. La prima conclusione che emerge dalla citata vicenda processuale è che la criticità del tema trattato è destinata a riversarsi anzitutto sul piano probatorio: la prova della subordinazione del lavoro prestato a favore della società in cui ruoli di comando sono rivestiti dal coniuge non può che dimostrarsi diabolica, considerate le peculiarità di ogni rapporto di lavoro che di volta in volta il giudice deve considerare per non incorrere in erronee applicazioni degli indici c.d. empirici. Ma, in definitiva, ancor più importante è il messaggio che emerge dall’insieme dei fattori sino ad ora analizzati: in un paese democratico, che millanta una parità tra i coniugi non solo sostanziale, in cui si fanno passi avanti ogni giorno per garantire una reale parità tra diritti e doveri dei coniugi e in cui la Carta Fondamentale si apre con un riconoscimento dell’importanza del lavoro, non si è ancora arrivati a distinguere concretamente l’attività lavorativa prestata in via subordinata da quella motivata dall’affectiones vel benevolentiae causa. Di fatto, quindi, il coniuge, per il solo essere tale, perde il diritto al riconoscimento – costituzionalmente garantito – della retribuzione, specie di fronte a una Giurisprudenza che, pur avendo ormai individuato i criteri atti a qualificare il rapporto di lavoro subordinato, adotta un’interpretazione restrittiva dei medesimi criteri all’interno dell’impresa familiare. Occorre, pertanto, un intervento atto a regolamentare la disciplina, diretto ad uscire dalla probatio diabolica della natura subordinata dell’attività lavorativa prestata da un coniuge in favore dell’altro e, ancor prima, un intervento chiarificatore dei criteri idonei a qualificare l’attività lavorativa di un coniuge come gratuita o a titolo oneroso. Occorre, in definitiva, rammentare i principi costituzionali consacrati nella nostra carta Fondamentale, che devono orientare l’attività interpretativa del giudice, anche quando si tratta di questioni problematiche come quella dell’attività lavorativa prestata all’interno dell’impresa familiare.
Si riporta, per completezza di esposizione, il testo della sentenza cui si è fatto riferimento nei paragrafi precedenti: REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Verona – Sezione Lavoro, nella persona del Giudice dott. Antonio Gesumunno, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di lavoro promossa con ricorso depositato in data 13.2.2014 DA ----- CONTRO --------- OGGETTO: accertamento rapporto lavoro subordinato a tempo indeterminato – differenze retributive UDIENZA DI DISCUSSIONE: 20.10.2016 CONCLUSIONI DI PARTE RICORRENTE: Ogni avversa istanza eccezione e deduzione reietta: accertare e dichiarare la sussistenza, tra la sig.ra –----– e la società –-----– srl, di un rapporto di lavoro di natura subordinata e a tempo indeterminato, sorto in data –----– e cessato in data –---------; accertare e dichiarare che l’attività lavorativa svolta dalla sig.ra –-------– al servizio della società –-------– srl,in tutto il periodo di cui al punto 1, va inquadrata come “quadro livello 1Q CCNL settore terziario distribuzione e servizi”; accertato e dichiarato che la retribuzione percepita dalla sig.ra –----– non era sufficiente e adeguata ex art. 36 Cost. rispetto alla quantità e qualità del lavoro svolto, condannare la società –------– – in persona del suo legale rappresentante pro tempore – a pagare alla sig.ra –-----– le seguenti somme: € 333.463,04 a titolo di differenze retributive, comprensivi del lavoro straordinario, tredicesima mensilità e quattordicesima, ferie non godute, con riferimento al periodo –---– al –-----, oltre al cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi legali dalle singole scadenze al saldo; € 26.925,78 a titolo di differenze sul TFR, oltre cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi legali dal –-----– al saldo; o in subordine le maggiori o minori somme che venissero accertate in corso di causa, in base alla retribuzione ritenuta adeguata ai sensi dell’art. 36 Cost., in relazione alla qualità e quantità delle mansioni svolte dalla sig.ra –----– nel corso del rapporto di lavoro al servizio della società resistente; accertare e dichiarare che la società –-----– srl [continua ..]