Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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La consulenza tecnica d'ufficio in materia psicologica: dal iudex peritus peritorum al peritus iudex? (di Alberto Tedoldi (Professore associato di Diritto processuale civile presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche del­l’Università degli Studi di Verona))


Il codice di procedura civile del 1940 ha introdotto la CTU come uno strumento probatorio volto a dare risposte scientifiche al giudice, al quale come peritus peritorum spetta la decisione finale da assumere sulla base delle allegazioni di parte, dei fatti notori e della comune esperienza (art. 115 c.p.c.). L’evoluzione scientifica e tecnologica ha però fatto sì che la CTU abbia assunto un’importanza decisiva in moltissimi casi, utilizzata da ultimo quasi in funzione di ADR (si pensi alla recente riforma sulla responsabilità medica, art. 8, l. n. 24/2017). Alla luce di tali premesse l’autore riflette sui principi del giusto processo e si sofferma sui diversi ruoli del giudice e del consulente tecnico, sostenendo la fondamentale distinzione tra i due e l’esigenza di garanzie processuali soprattutto laddove la scienza si rivela più deducente che percipiente, come nelle consulenze tecniche in materia psicologica.

 

The Civil Procedure Code of 1940 has introduced CTU (judge-appointed expertise) in order to give scientific answers to the judge, who is the peritus peritorum and takes the final decision on the base of allegations of the parts, notorious facts and common experience (art. 115 Civil Procedure Code). As a consequence of scientific and technical evolution CTU has though become decisive in many cases, lately even as a sort of ADR (such as in medical responsibility cases, art. 8 of Law n. 24/2017). The author reflects thus about due process of law and focuses on the role of the judge compared to the consultant one, asserting the fundamental distinction and demanding procedural guarantees especially in all those cases where science is more deductive than percipient, such as in psychological evaluations.

 

1. Siamo in un teatro e abbiamo appena ascoltato un’interessantissima testimonianza di vita e di lavoro di uno psicologo e di uno psicoterapeuta che opera sul campo, con le persone e con la loro parte più delicata e complessa, più ineffabile: la psiche, l’anima si sarebbe detto un tempo [1]. Occorre ora modificare il linguaggio, quella ricchezza unica e straordinaria di cui madre natura ci ha dotati, adoperando quello del diritto e, segnatamente, il linguaggio del processo civile, che peraltro alle strutture, alle forme e, spesso anche, ai simboli e alla semiotica del teatro si collega, nella ricerca di quella verità processuale che deve formarsi hic et nunc, in un luogo e in un recinto prestabiliti, dicevano gli antichi greci in un témenos, con le posizioni delle parti che corrispondono oggi ai banchi delle aule giudiziarie in una sorta di theatrum veritatis et iustitiae. Nel processo civile questa pregnanza simbolica tende a subire una deminutio, un po’ per effetto di una deleteria ed eccessiva “cameralizzazione” delle tutele che, con la smania di semplificare e accelerare, in realtà finisce per burocratizzare e svilire il significato del processo e, con questo, del diritto nel suo farsi, nel quotidiano ius dicere. Cerchiamo, nondimeno, di ricordare che le posizioni e gli abiti di scena che dovremmo indossare (le toghe intendo) sono elementi di distinzione e di separatezza dell’humus in cui si radicano il processo e il fenomeno giuridico in generale, in un ambiente che usa parole che non vengono comprese e che non hanno significato se non in quel contesto. Così, se si pensa al termine “allegazione”, questo non significa nel processo civile, come avviene invece nel senso comune, unire fisicamente un documento a un altro, bensì indica quell’attività fondamentale che consiste nell’introdurre in giudizio i fatti giuridicamente rilevanti, compiendo affermazioni illocutorie con parole performative, in quanto dirette a produrre un risultato pratico ed effettuale, secondo prestabilite e precostituite regole processuali e in virtù di un principio tralatizio, che viene dal tardo diritto romano e che è giunto sino ai nostri giorni: iudex secundum allegata et probata iudicare debet non secundum conscientiam, che è poi il principio insito nel nostro art. 115 c.p.c. In questo brocardo antico c’è il limite intrinseco al giudizio reso da un giudice terzo e imparziale: giudicare secondo ciò che viene allegato dalle parti, cioè affermato in giudizio e provato all’interno del “recinto processuale”, non secondo la scienza privata del giudice, le sue personali cognizioni specialistiche metagiuridiche, che egli eventualmente possieda uti singulus, distanti o diverse da ciò che lo accomuna al quisque de populo, salva la [continua..]