L’attività istruttoria rappresenta un elemento chiave dei processi di famiglia: le decisioni si basano principalmente su elementi di fatto, che le parti processuali devono allegare e dimostrare offrendo prove valide e rilevanti.
L’art. 706 c.p.c. prescrive l’obbligatoria produzione delle dichiarazioni dei redditi dei coniugi degli ultimi tre anni e il codice di procedura disciplina le altre prove tipiche (documenti, giuramento, confessione, testimonianza, ...), ma l’evoluzione tecnologica e i social network hanno attribuito crescente e decisiva importanza alle prove atipiche. È innegabile che moltissimi giudizi siano oggi decisi o profondamente condizionati da e-mails, SMS o profili Facebook; i rapporti investigativi, le riprese audiovisive e il tracking elettronico (GPS) stanno diventando di uso comune.
L’acquisizione di prove atipiche in assenza di disciplina legislativa determina inevitabili conflitti con il diritto alla riservatezza e gli altri diritti fondamentali protetti dalla Costituzione, quali la libertà personale (artt. 2 e 3), la libertà di espressione e manifestazione del pensiero (art. 21), della corrispondenza e del domicilio (artt. 14 e 15).
Mancando una disposizione civilistica che vieti l’utilizzo di prove illegittimamente acquisite (conformemente a quanto prevede l’art. 191 c.p.p.) la decisione finale spetta al giudice, che dovrà bilanciare gli interessi in gioco per decidere se una prova possa essere legittimamente utilizzata o meno. In tale prospettiva l’articolo analizza condizioni e limiti delle prove atipiche, soffermandosi su alcuni nuovi tipi di prova ed evidenziando i diversi orientamenti giurisprudenziali emersi nella recente casistica.
Evidence is a key aspect of family law trials: decisions are mostly based on facts, that the claimant and the defendant must allege and prove offering valid and relevant proves to the court.
Art. 706 of the Civil Procedural Code prescribes to lodge the last three tax declarations of spouses and civil procedural law regulates other typical evidence (documents, oath, confession, witness, ...), but technology evolution and social networks have given growing and decisive importance to atypical evidence. As a matter of fact, nowadays court cases are often determined or deeply conditioned by emails, SMS or Facebook profile; investigative reports, audiovisual footage and electronic tracking (GPS) are becoming of everyday use.
The acquisition of atypical evidence in lack of any legislative provision causes unavoidable conflicts with right of privacy and other fundamental rights protected by Italian Constitution, such as personal freedom (artt. 2 and 3), as well as freedom of expression (art. 21), of correspondence and domicile (artt. 14 and 15).
In absence of a disposition of the Civil Procedural Code that forbids the use of illegally obtained evidence (in correspondence with art. 191 of Criminal Procedural Code) the final decision is up to the judge, who will have to balance interests to decide whether or not proves are legally usable. In this perspective the article examines conditions and limits of atypical evidence, focusing on some new types of proof and pointing out different judicial interpretations.
In absence of a disposition of the Civil Procedural Code that forbids the use of illegally obtained evidence (in correspondence with art. 191 of Criminal Procedural Code) the final decision is up to the judge, who will have to balance interests to decide whether or not proves are legally usable. In this perspective the article examines conditions and limits of atypical evidence, focusing on some new types of proof and pointing out different judicial interpretations.
1. Le prove come strumento processuale fondamentale nel diritto di famiglia - 2. Prove tipiche e prove atipiche: il limite delle prove illecite - 3. Il difficile rapporto tra l’attività istruttoria in materia di diritto di famiglia e la tutela della privacy - 4. Le nuove tecnologie: strumenti tanto problematici quanto indispensabili - 5. Le riprese audiovisive come mezzi di prova nel diritto di famiglia - 6. Il tracking elettronico (GPS): gli interventi della giurisprudenza - 7. L’utilizzabilità della prova atipica data dalle relazioni investigative - NOTE
L’attività istruttoria, nel processo civile in generale – ma non solo – e, più nello specifico, nei procedimenti di separazione e divorzio, assume particolare rilevanza: le prove, infatti, spesso costituiscono l’ago della bilancia per determinare l’esito del procedimento. È, difatti, fondamentale per il difensore sostenere le ragioni della parte suffragando la propria tesi con elementi di prova quanto più specifici e tra loro coordinati, idonei pertanto a costruire un quadro probatorio complessivo coerente e che non lasci spazio alle eccezioni di controparte. In particolare nei procedimenti di separazione e divorzio e, più in generale, nei procedimenti di diritto di famiglia, in cui fatto e diritto spesso sono un tutt’uno, gli aspetti in cui l’attività istruttoria si dimostra determinante sono quelli in cui la prova del fatto implica di per sé la prova della sussistenza del diritto. Così, diventa fondamentale la prova delle reali ed effettive condizioni economiche delle parti ai fini della determinazione dell’ammontare dell’assegno, o ancora la prova della capacità genitoriale così dà orientare il giudizio del giudice a favore dell’uno piuttosto che dell’altro genitore in merito a controversie sull’affidamento dei figli minori e, infine, la prova di pretese condotte contrarie ai doveri coniugali così da sostenere eventuali domande di addebito. L’attività istruttoria, quale momento processuale connotato da grande rilevanza, è inevitabilmente sottoposta ad un giudizio di ammissibilità, atto a valutare la legalità delle prove, e di rilevanza, atto a valutarne invece l’utilità: ebbene, va da sé che solo prove non in violazione di disposizioni di legge e utili ai fini della tutela delle proprie ragioni potranno entrare nel procedimento e incidere sulla libera valutazione del giudice. Quindi, la regola generale è che l’attività istruttoria è “nelle mani” delle parti, in ossequio a quanto disposto dall’art. 115 c.p.c., norma generale e principio fondante dell’attività istruttoria [1] che costituisce applicazione del principio dispositivo in forza del quale spetta alle parti, e solo alle parti, il compito di indicare gli elementi di prova utili ai fini della [continua ..]
Anche nel diritto di famiglia, e non potrebbe essere diversamente, le prove come tali vanno distinte in prove legali tipiche e atipiche: le prime, previste dalla legge, e le seconde, non previste dalla legge, decisamente tanto problematiche quanto dotate di grande rilevanza. Tra le prove tipiche, sintetizzabili nella prova documentale, la prova testimoniale, il giuramento decisorio, la confessione e la prova delle simulazioni, va detto che l’unico obbligo specifico in merito al regime delle prove è sancito all’art. 706, 3° comma, c.p.c. nonché nell’art. 4, 6° comma, l. divorzio, che prevedono come «al ricorso e alla prima memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate». Dalla disposizione in esame si desume, innanzitutto, che la parte che produce documentazione attinente ai redditi di controparte non commette una violazione della sua privacy (che, come si vedrà più compiutamente in seguito, costituisce invece problematica molto sentita e che spesso offre un’apertura a censure di legalità della prova stessa). Dalla disposizione in esame si deduce, inoltre, che la mancata produzione di detta documentazione, riferibile secondo opinione costante, quantomeno agli ultimi tre esercizi e concernente i patrimoni personali e comuni, sarà un elemento che il Presidente, nella fase presidenziale [2] – quindi in quella fase non propriamente istruttoria – potrà/dovrà tenere in considerazione in sede di emanazione dei provvedimenti provvisori ed urgenti. Non solo: eventualmente, sarà elemento che consentirà al giudice di scegliere se disporre indagini sui redditi e sul patrimonio delle parti o di assegnare termine alle parti per produrre brevi note. Complesso è il tema riguardante le prove atipiche, connotate dal duplice elemento dell’essere non previste dalla legge e dell’essere acquisite tramite iter differente rispetto a quelle tipiche (ad es.: l’ispezione non verbalizzata). Esse sono ben note a Dottrina e Giurisprudenza per i numerosi dibattiti cui danno luogo e, soprattutto, per le questioni attinenti all’ammissibilità delle stesse (in cui, tradizionalmente, si contrappongono la tesi del principio di tassatività e della mancanza di una norma di chiusura) [continua ..]
Nei giudizi di separazione e divorzio l’attività istruttoria deve fare i conti con un tema dai confini piuttosto incerti che apre le porte a tutta una serie di problematiche specifiche: la tutela della privacy dei soggetti coinvolti. È, difatti, inevitabile che l’attività istruttoria coinvolga soggetti i quali sono garantiti, in primo luogo, dal d.lgs. n. 196/2003 e in esso, più specificamente, dalla disciplina concernente il trattamento di dati personali. In secondo luogo, va pur sempre tenuto conto dei principi costituzionali in materia, garanzie fondamentali che rimangono sempre sullo sfondo del procedimento tanto penale quanto civile. Così, la prova di un fatto, per quanto rilevante, dovrà rispettare sia i diritti inviolabili dell’uomo garantiti ex artt. 2 e 3 Cost. [5] sia la fondamentale tutela della libertà personale riconosciuta ex art. 13 Cost. [6] e, infine, dovrà pur sempre essere riconosciuto il principio di libera manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost. Non solo; in termini più specifici l’attività istruttoria incontra i limiti delle garanzie sancite agli artt. 14 e 15 Cost. vale a dire, segnatamente, l’inviolabilità del domicilio e l’inviolabilità della corrispondenza. * * * Per quanto attiene al codice della privacy specifiche garanzie sono offerte all’art. 13 del d.lgs. n. 196/2003 nella parte in cui prevede che «l’interessato deve essere preventivamente informato sulle finalità e modalità di trattamento dei dati, sulla natura obbligatoria o facoltativa del loro conferimento e sulle conseguenze del rifiuto di rispondere»; ancora, come già anticipato, l’art. 23 ammette il trattamento dei dati personali soltanto previo consenso dell’interessato, consenso scritto nel caso dei c.d. dati sensibili e, comunque, previa autorizzazione del garante. La garanzia offerta dal codice incontra, tuttavia, un limite scriminante, cui è anche dedicato l’art. 7: l’obbligo non si applica «qualora i dati siano trattati ai fini dello svolgimento di investigazioni difensive o per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria». Quindi, se è vero che la privacy viene tutelata in maniera sempre più stringente, è una [continua ..]
Come già in parte anticipato, le prove, nei procedimenti in materia di diritto di famiglia, consentono di dare atto di condotte censurabili quali infedeltà e gravi violazioni degli obblighi matrimoniali, rilevanti in specie ai fini di un potenziale addebito, nonché di reperire notizie in merito al patrimonio e allo stile di vita reale delle parti, eventualmente utilizzabili per determinare l’ammontare degli assegni di mantenimento. Si tratta di aspetti difficili da documentare poiché si collocano sulla linea di confine tra prove lecite e prove illecite. In questi aspetti, inoltre, cresce l’incidenza della tecnologia; in particolare la crescita sconvolgente dell’importanza e dell’uso dei social network e dei nuovi mezzi di comunicazione, come la messaggistica istantanea che hanno, di fatto, preso il posto dei “tradizionali” mezzi di prova. Non sono ancora state del tutto soppiantate le tradizionali fotografie, che ancora giocano un ruolo fondamentale. Se è vero che, di regola, per quanto attiene all’uso di fotografie, potrà essere documentato tutto ciò che è visibile senza dover ricorrere a “stratagemmi”, vi sono alcune osservazioni imprescindibili da fare, anche in forza degli orientamenti dei Tribunali di merito che, sempre più spesso, adottato un atteggiamento di apertura per quanto attiene a questa tipologia di mezzi di prova; è il caso del Tribunale di Milano [8] che ha ammesso le foto che documentavano un tradimento statuendo come esse siano ammissibili nella misura in cui non siano contestate da controparte. Un’apertura, quindi, verso un giudizio più elastico di ammissibilità delle prove. Ma nel nuovo millennio, nell’era digitale, il ruolo di protagonista lo svolgono le nuove tecnologie. Ad oggi, infatti. la personalità degli individui ha assunto una connotazione fortemente digitale; accanto alla vita reale molti vivono una vita parallela virtuale, attraverso i social network e Facebook in particolare. Soprattutto la dinamica del social network – condivisione di informazioni personali con altri utenti – e il ruolo centrale che ha per la vita (anche coniugale) di ognuno, lo rende non solo un mezzo di prova semplice ma soprattutto un vero e proprio bacino di informazioni personali via via sempre più accessibili [continua ..]
Una delle prove forse più problematiche in termini di ammissibilità ma capace di determinare l’esito del procedimento è la ripresa audiovisiva. La norma di riferimento è l’art. 2712 c.c., il quale sancisce che le riproduzioni audiovisive formano piena prova dei fatti se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti e alle cose medesime. Pertanto, il limite è il disconoscimento da parte di colui contro il quale sono prodotte. Tuttavia, se la parte disconosce il documento prodotto, il giudice può comunque nell’ambito del proprio libero convincimento valutare il fatto, sostanzialmente come provato. Inevitabilmente, la produzione di riprese audiovisive espone la parte richiedete al rischio di integrare, con la propria condotta, gli estremi di un reato connesso alla tutela della riservatezza, dell’immagine o del domicilio della persona. Pur nella complessità della materia, si può sintetizzare il concetto nel senso che non è illecito registrare una conversazione tra presenti per cui sarà legittima l’utilizzazione, nel processo, del contenuto di una conversazione privata registrata su nastro magnetico da parte di uno degli interlocutori. La materia richiama, concettualmente, la disciplina delle intercettazioni penalmente rilevanti. Alcune precisazioni meritano di essere fatte, fondate sulla tradizionale distinzione tra luogo pubblico e luogo privato (inteso quale luogo nel quale si svolgono le riprese): in estrema sintesi, sono ammissibili fotografie e registrazioni in luoghi aperti al pubblico e utilizzabili sotto forma di «documenti», inammissibili invece quelle effettuate in luoghi privati. Ecco che, va detto, il confine tra pubblico e privato è tutt’altro che chiaro; se, infatti, l’attività di ripresa o registrazione è effettuata in un luogo privato ma liberamente osservabile dagli estranei senza ricorrere a particolari accorgimenti, non può essere invocata una pretesa tutela della riservatezza. Classico esempio è il cortile della propria abitazione, luogo inevitabilmente visibile agli estranei e che, per l’effetto, non rientra nell’ambito di tutela della privacy. Tali rilievi vanno però temperati con il concetto di «quasi domicilio», ossia del domicilio, penalmente tutelato, inteso come luogo [continua ..]
Altro rilevante mezzo di prova riguarda l’uso della localizzazione satellitare; difatti, la localizzazione satellitare ha aperto numerosi dibattiti, trattandosi di un nuovo strumento che, spesso, viene assimilato a mezzi di prova. Anzitutto non manca chi ritiene che la geolocalizzazione andrebbe concepita come una particolare tipologia di intercettazione, peraltro in potenziale contrasto con la privacy del soggetto localizzato. Tuttavia, secondo l’interpretazione prevalente, va esclusa l’analogia con l’art. 266 c.p.p. dovendocisi discostare dall’idea che il tracking consista nella captazione clandestina da parte di un terzo del contenuto di una comunicazione riservata tra due o più persone. L’elemento di discrimine non può che essere individuato nel fatto che con il tracking elettronico si apprende unicamente la posizione nello spazio dell’oggetto su cui il congegno viene collocato. Altra problematica posta all’attenzione degli interpreti da attenta dottrina concerne la possibilità di assimilare l’attività di localizzazione con una vera e propria “ispezione personale” per la sua intrinseca caratteristica di “osservare elettronicamente”, e pertanto potenzialmente lesiva della garanzia fornita dall’art. 13 Cost. Anche sotto questo profilo, l’interpretazione prevalente propende per una visione elastica della questione in oggetto, in grado di consentirne l’utilizzo in processo. In particolare, si ritiene che essendo l’operazione ispettiva volta ad accertare «le tracce e gli altri effetti materiali del reato», o al massimo a descrivere lo stato attuale o preesistente dei luoghi, il pedinamento satellitare non può presentare tali elementi. A sostegno di tale interpretazione è anche il rilievo per cui, in caso contrario, dovendosi comunque la localizzazione svolgere all’insaputa dell’indagato (altrimenti perderebbe la sua ragion d’essere) determinerebbe l’impossibilità di concepire un «previo avviso a farsi assistere da una persona di fiducia» come invece richiesto in materia di ispezione (art. 245, 1° comma, c.p.p.). Infine, si è aperta la questione relativa alla problematica per cui il GPS, secondo alcuni rigidi interpreti, rientrerebbe nell’alveo dell’accertamento urgente sui [continua ..]
Secondo l’orientamento giurisprudenziale dominante il rapporto investigativo non ha di per sé valore probatorio dei fatti che vengono narrati. I documenti formati dall’investigatore possono essere qualificati come «scritti provenienti da un terzo» e costituiscono una prova atipica. Così si esprime il Tribunale di Milano [11]. L’ordinanza del Tribunale di Milano compie un ulteriore passo avanti; essa difatti si esprime nel senso che non è sufficiente la prova orale attraverso la quale confermare in blocco il contenuto del documento, ma è necessario che il terzo investigatore sia in grado di narrare fatti precisi, circostanziati e chiari che abbia appreso con la sua percezione diretta. Non possono, quindi, essere utilizzate le dichiarazioni testimoniali degli investigatori, ma semmai i fatti precisi, circostanziati e capitolati che il terzo investigatore abbia appreso con la sua percezione diretta, attraverso la prova orale nel processo. È inammissibile la richiesta istruttoria con cui l’istante si limiti a chiedere al giudice che l’investigatore venga a confermare il rapporto investigativo versato in atti, rapporto che contenendo fatti non assunti in giudizio nel contraddittorio non è utilizzabile. La Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata affrontando il tema della valenza dei rapporti investigativi che utilizzano della prova documentale (tabulati telefonici e fotografie), fornita dal coniuge per dimostrare in concreto la violazione del dovere dell’obbligo fedeltà al fine di ottenere l’addebito della separazione. In tale caso la Corte ha rigettato il ricorso della moglie a cui era stata addebitata la separazione per violazione dell’obbligo di fedeltà, affrontando, tra i vari motivi, anche quello dell’utilizzo della relazione investigativa redatta da un tecnico di parte. È arrivata, infatti, ad affermare che nel processo di separazione la relazione investigativa redatta dal tecnico incaricato da una delle parti deve considerarsi prova documentale (riferita a tabulati telefonici e fotografie) lecita e idonea a dimostrare la violazione del dovere di fedeltà, con le conseguenti ricadute in tema di domanda di addebito [12]. Preme evidenziare che dalle menzionate pronunce emerge una chiara differenza di approccio sistematico in merito all’uso delle [continua ..]