Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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Crisi del sistema giudiziario e metodi alternativi di soluzione dei conflitti. Esigenza di ampliamento del ruolo dell'avvocato. Il diritto collaborativo e la procedura partecipativa di negoziazione assistita da avvocato (di Milena Pini (Presidente AIAF))


Intervento all’Assemblea nazionale AIAF, tenutasi a Torino il 13-14 maggio 2011.

SOMMARIO:

1. L'introduzione in Italia della media-conciliazione obbligatoria e la reazione dell’avvocatura. L'esigenza di trovare una "terza via" per l’ampliamento del ruolo dell'avvocato - 2. La crisi del sistema giustizia e la ricerca di nuovi "rimedi" per la risoluzione dei conflitti. La modifica del ruolo del giudice e dell'avvocato. L'ampliamento della funzione dell’avvocato nella prevenzione dei conflitti e nella fase stragiudiziale della negoziazione - 3. La giustizia privata o contrattuale. La ridefinizione del concetto di equità come soddisfazione delle parti in conflitto. Verso lo smantellamento dello stato di diritto ? - 4. La giustizia partecipativa nei paesi di common law - 5. Il diritto collaborativo e la procedura partecipativa di negoziazione assistita da un avvocato - NOTE


1. L'introduzione in Italia della media-conciliazione obbligatoria e la reazione dell’avvocatura. L'esigenza di trovare una "terza via" per l’ampliamento del ruolo dell'avvocato

    Le procedure extragiudiziali di risoluzione dei conflitti costituiscono uno dei temi più attuali, al centro del dibattito sulla crisi della giustizia civile nel nostro Paese e i possibili rimedi alternativi. L’introduzione nella nostra legislazione della mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali ha suscitato una reazione negativa da parte dell’Avvocatura, contraria alle scelte effettuate dal Ministero della Giustizia che l’ha imposta come obbligatoria, senza necessità della presenza dei legali delle parti e senza prevedere specifiche competenze per materia da parte dei mediatori. L’Avvocatura, ritenendo che il d.lgs. n. 28/2010 violi principi costituzionali, ha pertanto sollevato, tramite i suoi organismi di rappresentanza, eccezioni di incostituzionalità del decreto legislativo, che sono state accolte dal TAR Lazio [2]. Lo scontro era peraltro inevitabile, considerato che il Governo ha sin dall’inizio inteso la mediazione solo come strumento per ottenere un effetto deflattivo del contenzioso giurisdizionale [3], con la conseguenza di ostacolare l’accesso al sistema giudiziario da parte dei cittadini, contravvenendo così ai criteri e principi direttivi dell’art. 60 della l. n. 60/2009 e della stessa Direttiva europea 2008/52, che nel mettere in luce l’importante significato della composizione amichevole delle controversie ribadisce nel contempo l’esigenza di garantire «un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario». L’esigenza di salvaguardare il principio della tutela giurisdizionale effettiva [4] è stato ribadito anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea che in una recente pronuncia [5] ha affermato che «i principi di equivalenza e di effettività, nonché il principio della tutela giurisdizionale effettiva, non ostano ad una normativa nazionale che impone ... il previo esperimento di una procedura di conciliazione extragiudiziale, a condizione che tale procedura non conduca ad una decisione vincolante per le parti, non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale, sospenda la prescrizione dei diritti in questione e non generi costi, ovvero generi costi non ingenti, per le parti, e ... sia possibile disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in [continua ..]


2. La crisi del sistema giustizia e la ricerca di nuovi "rimedi" per la risoluzione dei conflitti. La modifica del ruolo del giudice e dell'avvocato. L'ampliamento della funzione dell’avvocato nella prevenzione dei conflitti e nella fase stragiudiziale della negoziazione

    È limitativo pensare che la ricerca di modi alternativi di risoluzione delle controversie sia intesa dai Governi dei paesi occidentali solo come rimedio alla crisi quantitativa della giustizia. La questione è altra. Da tempo è stato messo sotto accusa il «carattere esclusivamente monopolistico del sistema giudiziario nella risoluzione dei conflitti», cui hanno fatto seguito richieste di «revoca del carattere stato-centrico dell’amministrazione della giustizia e di ampliamento della dimensione della legalità» [9]. I mutamenti sociali ed economici hanno evidenziato che il sistema giudiziario non è più in grado di autoregolarsi e di regolare la propria funzione di decisione, e ciò avviene non soltanto per la dimensione quantitativa dei conflitti, ma, sotto il profilo qualitativo, in relazione alla tipologia e fenomenologia sociale dei conflitti sottoposti al vaglio del giudice. La tendenza, da tempo avviata e ormai inarrestabile nei paesi occidentali, è di ridare spazio ai soggetti del conflitto, sostenendo il loro potere di autoregolamentazione, e di restituire al sistema sociale (alla “comunità”) il problema del conflitto [10]. In questa spinta verso una autoregolazione del sistema sociale si consuma il passaggio da una giustizia che trova la sua legittimità esclusivamente nell’applicazione della legge, a una giustizia fondata sulle “relazioni umane”, «più attenta ai bisogni dei cittadini, che mette la persona al centro del sistema giustizia» [11]. Mentre nel giudizio tutto ruota intorno alla centralità del giudice e della sua autorità, nella mediazione finalizzata alla conciliazione gli attori sono gli stessi confliggenti. Il soggetto diventa at­tore e nel contempo giudice dei suoi interessi. I metodi di soluzione dei conflitti alternativi al sistema giudiziario non si pongono solo su un binario parallelo al sistema tradizionale giudiziario, ma di fatto ne comportano rilevanti modifiche. Gli orientamenti della politica giudiziaria concordata tra i paesi membri della Comunità europea a partire dagli anni ottanta evidenziano l’intento, da un lato, di introdurre con la mediazione una giustizia fondata sulle relazioni, e, d’altro lato, di accentuare la funzione giudicante del giudice e del suo ruolo di [continua ..]


3. La giustizia privata o contrattuale. La ridefinizione del concetto di equità come soddisfazione delle parti in conflitto. Verso lo smantellamento dello stato di diritto ?

  [20] Si è osservato che gli elementi che denotano il carattere alternativo dei nuovi metodi di risoluzione dei conflitti rispetto a quello tradizionale sono il diverso rapporto “cooperativistico” che si instaura tra gli attori in conflitto, il riconoscimento della legittimazione di una struttura risolutiva costruita sulla dimensione pattizia e convenzionale, e soprattutto una filosofia della giustizia di tipo ristorativo che coinvolge modelli di composizione e gestione del conflitto meno autoritativamente decisori [21]. I sostenitori della “giustizia privata” (private ordering) [22] affermano la superiorità dell’accordo negoziato tra le parti sulla decisione giudiziaria, perché non vi sarebbero né vincitori né vinti. Coloro che sostengono le soluzioni conciliative alternative al piano giudiziario ritengono che la soluzione non debba necessariamente scaturire da una regola preesistente, ma da una libera discussione e negoziazione tra le parti. La conclusione della lite è considerata come “equa” se raccoglie la soddisfazione di tutte le parti in conflitto [23]. È equo e giusto ciò che soddisfa le parti, e non la regola dettata dalla legislazione. L’accordo fondato sul consenso [24] sostituisce il provvedimento emesso dall’Autorità, così il concetto di “soluzione giusta” viene svincolato dalla legge. Nelle procedure di giustizia contrattuale sono le parti a decidere che cosa è “giusto”, ferma restando l’esigenza di assicurare che la decisione di accettare una soluzione sia effettivamente libera e non limitata dalla posizione di forza di una parte sull’altra (ad esempio nei casi di violenza domestica) e che la soluzione trovata in tale contesto sia lecita e non contraria all’ordine pubblico. Sorge dunque l’interrogativo se, invitando le parti a prendere esse stesse una decisione per regolamentare il conflitto, non vi sia il rischio di modificare le regole di diritto su cui si fonda la società. Alla tendenza all’ampliamento della giustizia pattizia si oppongono coloro che sostengono che i processi “negoziati” legittimino la legge del soggetto più forte e costituiscano una privatizzazione intollerabile della giustizia civile. Si criticano le ADR in quanto priverebbero il sistema giuridico [continua ..]


4. La giustizia partecipativa nei paesi di common law

    In Canada e in molti Stati USA lo sviluppo da oltre vent’anni di diversi modelli di metodi alternativi di soluzione dei conflitti ha portato i Governi ad elaborare una politica di “giustizia partecipativa” [29], che ingloba diversi metodi di prevenzione e di risoluzione dei conflitti: la negoziazione, il diritto collaborativo (negoziazione tra le parti assistite dai rispettivi avvocati), la mediazione (gestita da un terzo), la conciliazione esperita da un giudice (diverso da quello avanti al quale si svolge il giudizio, e da questi delegato), l’arbitrato. Obiettivi della giustizia consensuale sono la comprensione del pregiudizio causato e la presa di coscienza delle sue conseguenze, la ripartizione della responsabilità e la responsabilizzazione, la trasformazione del rapporto interpersonale, le prospettive future delle parti in conflitto. I valori sui cui si basa questo tipo di giustizia sono la partecipazione, il rispetto verso tutti i partecipanti, il trattamento egualitario, l’impegno al rispetto delle intese raggiunte. La soluzione deve corrispondere alla soddisfazione di tutte le parti, in quanto la giustizia è intesa come “benessere sociale” ed è data prioritaria importanza ai rapporti umani e al ristabilimento delle relazioni. Si ritiene che debba preferibilmente essere una procedura volontaria [30], ma può essere previsto l’invio delle parti, ad opera del giudice, ad un incontro obbligatorio con un mediatore, per avere informazioni sul procedimento di mediazione.


5. Il diritto collaborativo e la procedura partecipativa di negoziazione assistita da un avvocato

    Negli Stati Uniti, all’inizio degli anni novanta, con l’affermarsi della mediazione quale modello alternativo al procedimento giudiziario gestito dal terzo/mediatore, si è sviluppata la ricerca da parte degli avvocati di un metodo di negoziazione finalizzato alla conciliazione, da svolgersi in un contesto dove venisse valorizzata la loro funzione [31]. Da questa esigenza si è sviluppato il diritto collaborativo, elaborato nel 1990 da Stuart G. Web, avvocato di Minneapolis, che si è poi diffuso negli Stati americani, in Canada, Australia e in Euro­pa, dove è stato introdotto dapprima in Inghilterra, e poi in Irlanda, Scozia, Francia, Austria, Svizzera, Germania, Belgio, Repubblica Ceca e Olanda. In Italia, l’AIAF ha organizzato per la prima volta un convegno sul diritto collaborativo nel giugno 2009 [32], cui ha fatto seguito dal marzo 2010 l’organizzazione di numerosi corsi di formazione al metodo collaborativo nella separazione e nel divorzio. In tutti questi paesi sono sorte associazioni di avvocati che praticano il diritto collaborativo, che si richiamano tutte ai principi elaborati dall’International Academy Of Collaborative Professionals (IACP), che ha sede in Arizona, USA [33]. Gli avvocati che assistono le parti nel procedimento stragiudiziale di diritto collaborativo devono avere ricevuto una specifica formazione in diritto collaborativo, attestata a seguito della partecipazione di un corso di formazione secondo gli standard internazionali indicati dall’International Academy Of Collaborative Professionals (IACP). II diritto collaborativo, fondato sul metodo dell’ascolto attivo e della negoziazione ragionata, comporta che le due parti e i loro rispettivi avvocati si impegnino insieme a ricercare una soluzione efficace, equa e complessiva di tutte le problematiche, personali e patrimoniali, connesse alla loro crisi di coppia, separazione o divorzio, nel rispetto della dignità di ciascuna parte. II ruolo dell’avvocato è fornire al cliente consulenza e assistenza nella ricerca di tale soluzione, ma avvalendosi esclusivamente della negoziazione e di un approccio consensuale. Questo metodo di lavoro vincola gli avvocati ad un impegno così serio al fine di raggiungere un accordo equo, che se il percorso non riesce a produrre un accordo e le parti decidono di adire l’autorità giudiziaria per [continua ..]


NOTE