Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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La recente riforma in materia di filiazione: gli aspetti processuali (di Giuliano Scarselli (Ordinario di diritto processuale civile Università di Siena))


Relazione tenuta in Firenze in occasione dell’incontro di studio organizzato da AIAF Toscana in data 26 marzo 2013 dal titolo: Legge 10 dicembre 2012 n. 219. Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali. Profili sostanziali e processuali.

Questo scritto è dedicato alla memoria della collega Milena Pini, presidente nazionale AIAF.

Ricorderemo le doti umane e professionali di Milena, il suo impegno, il suo senso di appartenenza all’avvocatura, il suo senso civico, il suo modo sempre gentile e corretto, e mai presuntuoso, di porsi con i colleghi e con gli altri, nonostante il ruolo che ricopriva.

Milena mi dette l’onore di rappresentare l’AIAF dinanzi alla Corte costituzionale nel giudizio di costituzionalità della media-conciliazione obbligatoria, una questione di primissima importanza per tutta l’avvocatura italiana.

Discutemmo la questione in Corte il 23 ottobre del 2012 e il giorno successivo arrivò la notizia del successo, e della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 5 del d.lgs. n. 28/2010.

Non dimenticherò più quei giorni, e proprio il 24 ottobre 2012 fu l’ultimo giorno in cui ebbi la possibilità di sentire Milena, soddisfatta per il risultato, e carina e gentile come sempre.

Poi ebbi solo notizie indirette della sua malattia.

Grazie di tutto Milena, ti sia lieve la terra.

SOMMARIO:

1. La competenza del tribunale ordinario in materia minorile in forza del nuovo art. 38 disp. att. c.c. - 2. Rapporti tra giudice unico e collegio nel rito camerale ex art. 737 ss. c.p.c. - 3. La residua competenza del tribunale per i minorenni - 4. I processi in grado di spostare la competenza del procedimento ex art. 333 c.c. - 5. Le espressioni di processo "in corso" e "tra le stesse parti" - 6. Esegesi dell'espressione «in tali ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario» - 7. Connessione e continenza tra procedimenti riguardanti i minori - 8. Controversie sulle competenza - 9. La scelta del rito camerale ex art. 737 ss. c.p.c. - 10. Segue) Esegesi dei problemi che il rito camerale pone in forza del nuovo art. 38 disp. att. c.c.


1. La competenza del tribunale ordinario in materia minorile in forza del nuovo art. 38 disp. att. c.c.

Il mio compito è quello di illustrarvi le novità processuali che la riforma sulla filiazione, di cui alla l. n. 219/2012, ha posto; in concreto, si tratta semplicemente di commentare le modifiche apportate all’art. 38 disp. att. c.c., visto che è quella la norma che detta le nuove regole in materia di competenza a garanzia dei diritti dei figli. Seppur debba tralasciare ogni commento alle modifiche sostanziali, fatemi esternare la mia soddisfazione per questa nuova legge. Mi trovo sempre ad esser critico sulle riforme del legislatore e quando, come in questo caso, mi trovo invece davanti ad una riforma che trovo giustissima, perché credo che tutti i figli siano eguali e abbiano perciò diritto ad un pari trattamento, mi compiaccio di poter, per una volta, tessere un elogio, e non un rimprovero, al nostro legislatore. Poiché, è vero, la riforma potrà avere anche qualche pecca tecnica, ma l’idea di equiparare (o tendere comunque ad una prima equiparazione di) tutti i figli, credo sia un’idea ottima, anche solo perché le scelte dei genitori non possono riversarsi sui figli. E se mi consentite una nota personale, poiché anch’io sono padre di una figlia naturale, alla quale tengo moltissimo, saluto questa legge non solo con il favore del giurista, ma anche con quella del padre. Detto ciò, vengo al tema che mi è stato assegnato. Possiamo prendere le mosse dal 2° comma dell’art. 38 disp. att. c.c. e ricordare che, da oggi, la regola generale è che le controversie che abbiano ad oggetto i minori sono di competenza del giudice ordinario e non più del giudice minorile. Ciò è scritto in modo chiaro da detto comma ove si legge che: «Sono emanati dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria». Dunque, questa è la prima rivoluzione che tende a equiparare, anche sul piano procedurale e della competenza del giudice, la disciplina dei figli già legittimi a quella dei figli già naturali (espressioni che attualmente non sussistono infatti più). Da oggi, pertanto, in via generale, gli avvocati si affideranno al giudice ordinario, e non più a quello minorile, per discutere questioni che abbiano ad oggetto i minori.


2. Rapporti tra giudice unico e collegio nel rito camerale ex art. 737 ss. c.p.c.

Su questo sia consentito aprire subito una parantesi di ordinamento giudiziario. Questa riforma, seppur lodevole nell’intento, è stata però fatta senza tener conto delle ricadute di carico di lavoro che comporta. In particolare, come è comprensibile, questa novità sgraverà i tribunali minori aggravando i tribunali ordinari. Sarebbe stato opportuno, allora, che il legislatore avesse considerato anche questo aspetto, e avesse quindi provveduto, in qualche modo, a riequilibrare le forze tra i due uffici giudiziari. Ma ciò non è stato. Non solo, ma il legislatore, oltre a non aver fatto ciò, ha previsto che, in via generale, le controversie relative a minori dinanzi al tribunale ordinario si trattino con il rito camerale dei procedimenti in camera di consiglio, ovvero con un rito che prevede la presenza di tre giudici per la composizione di un collegio. Si capisce quanto questa novità, pertanto, possa aggravare la situazione dei tribunali ordinari, i quali si vedono investiti non solo di nuove competenze, bensì di competenze da affrontare, sempre e inevitabilmente, in composizione collegiali, e quindi con l’impegno di tre giudici. Il rischio, dunque, è che in materia di minori, il tribunale ordinario non sia in grado di dare pronta risposta alle domande di giustizia delle parti. Si dirà che così era anche dinanzi ai tribunali minorili, che certo non brillavano per prontezza delle risposte. Ma credo che questa sia una magra consolazione. Ritengo, pertanto, che ad di là di un intervento ordinamentale da porre, al momento possiamo riflettere su queste circostanze: a)  il nostro ordinamento conosce come regola del processo ordinario quella del giudice singolo, e solo in rare circostanze la decisione è affidata al collegio (art. 50 bis c.p.c.); b)  c’è poi il modello a collegialità piena quale quello dei procedimenti camerali o cautelari in sede di reclamo, o d’altri previsti da norme speciali; c)  e c’è infine un modello a collegialità imperfetta, o parziale che dir si voglia, che si ha quando il sistema prevede che la decisione sia collegiale, e tuttavia prevede altresì che momenti del processo possano essere assegnati ad un giudice singolo componente del collegio. Rientrano in questa casistica i procedimenti di cui [continua ..]


3. La residua competenza del tribunale per i minorenni

Detto questo, e fermo pertanto il principio della competenza in via generale del tribunale ordinario per le controversie dei minori, sussiste l’eccezione alla regola data invece dal 1° comma dell’art. 38 disp. att. c.c. Nei casi di cui al 1° comma dell’art. 38 disp. att. c.c., e solo in quelli, la competenza rimane ancora ai tribunali minorili. Poiché, poi, lo stesso 1° comma dell’art. 38 disp. att. c.c. è costruito a sua volta in regole ed eccezioni, con una struttura lessicale nemmeno chiarissima, è bene procedere per ordine. Intanto, alcuni procedimenti tipici, espressamente indicati dalla legge, restano di competenza del tribunale per i minori. Questi sono quelli contemplati negli artt. 84 (ammissione al matrimonio), 90 (assistenza alla sti­pulazione di convenzioni matrimoniali), 330 (decadenza della potestà sui figli), 332 (reintegrazione nella potestà), 333 (condotta del genitore pregiudizievole ai figli), 334 (rimozione dal­l’amministrazione), 335 (riammissione nell’esercizio dell’amministrazione) e 371, ultimo comma (provvedimenti circa l’educazione e l’amministrazione) del codice civile. Questi procedimenti restano di competenza del tribunale dei minori. Tuttavia, di nuovo, tornano di competenza del giudice ordinario, se si ha l’eccezione dell’ecce­zione, disciplinata dalla seconda parte del medesimo 1° comma dell’art. 38 disp. att. c.c. Prosegue la disposizione infatti statuendo: «Per i procedimenti di cui all’art. 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’art. 316 del codice civile; in tali ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario». La disposizione, come dicevo, non è chiara, e necessita di interpretazione ricostruttiva.


4. I processi in grado di spostare la competenza del procedimento ex art. 333 c.c.

In primo luogo il procedimento ex art. 333 c.c., normalmente di competenza del tribunale per i minorenni, è invece di competenza del tribunale ordinario «nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’art. 316 del codice civile». Credo, come è già stato sostenuto anche da altri in più di un incontro di studio, che questo inciso debba esser interpretato estensivamente e credo, pertanto, che i procedimenti in grado di attrarre la competenza del tribunale ordinario sui procedimenti ex art. 333 c.c. non siano solo quelli indicati, ma a questi vadano sommati anche i procedimenti ex art. 317 bis c.c., art. 710 c.p.c. e art. 9 l. divorzio, l. n. 898/1970. La ragione mi sembra evidente: se le controversie di separazione e divorzio sono in grado di attrarre la competenza, analoga attrazione non possono non dare anche i procedimenti aventi ad oggetto le modificazioni delle condizioni di separazione (art. 710 c.p.c.) e divorzio (art. 9, l. n. 898/1970); e, da un punto di vista strettamente esegetico, anche i procedimenti per le modifiche sulle condizioni possono farsi rientrare nel genus delle controversie in materia di separazione e divorzio, perché procedimenti, appunto, che attengano alla separazione oppure al divorzio. Né, da un punto di vista logico, avrebbe senso che solo i procedimenti di separazione e divorzio in senso stretto, ovvero i primi giudizi di separazione e divorzio, potessero comportare detto spostamento di competenza, e non anche quelli successivi di modificazione delle condizioni. Parimenti, ritengo che, per ragioni analoghe, il procedimento di cui all’art. 316 c.c. si porti inevitabilmente dietro quello di cui all’art. 317 bis c.c., che espressamente richiama il procedimento ex art. 316 c.c. Peraltro, se si vuole veramente procedere ad una eguaglianza di trattamento di tutti i figli, va da sé che dobbiamo trattare congiuntamente i procedimenti ex art. 316 c.c. con quelli ex art. 317 bis c.c. L’art. 317 bis c.c. recita infatti che ad esso «Si applicano le disposizione di cui all’art. 316». Dunque, a mio parere, lo spostamento della competenza del procedimento ex art. 333 c.c. si ha dinanzi ai procedimenti di [continua ..]


5. Le espressioni di processo "in corso" e "tra le stesse parti"

Questi giudizi, per spostare la competenza, devono essere “in corso” e “tra le stesse parti”. Chiariamo queste espressioni. a)  In primo luogo il legislatore ha detto “in corso” e non “pendente”. Poiché il termine preciso è “pendente” e non “in corso”, che è espressione più generica e atecnica, e poiché l’interprete deve considerare che il legislatore usa le parole in modo proprio e consapevole, va da sé che si sia voluto stringere il campo dello spostamento della competenza dal tribunale minorile a quello ordinario per le controversie ex art. 333 c.c. solo quando i procedimenti sopra indicati siano in corso e non solo pendenti. Che significa questo? Significa che se il procedimento è pendente ma non è in corso, ad esempio nei casi di acquiescenza del giudizio, ovvero in causa sospese o cancellate dal ruolo, noi non abbiamo giudizi in corso ma solo giudizi pendenti, e quindi che detti procedimenti, se sospesi o cancellati dal ruolo, non sono in grado di portare la deroga della competenza ai giudizi di cui all’art. 333 c.c. b) In secondo luogo il legislatore ha detto “fra le stesse parti”. Va da sé, pertanto, che ove le parti dei procedimenti siano diverse, lì la competenza del giudizio ex art. 333 c.c. resta del tribunale per i minorenni. Quando si ha eguaglianza delle parti? È evidente che la norma va interpretata nel senso che in alcuni casi si possa avere coincidenza delle parti e in altri no, ed errate sarebbero pertantotutte quelle ricostruzione tendenti a creare meccanismi in grado o sempre di escludere o sempre di giungere all’eguaglianza delle parti dei giudizi. Ed infatti, alcuni ritengono che, considerato quale parte il PM, e considerato peraltro che il PM minorile ha poteri maggiori e diversi del PM del tribunale ordinario, l’eguaglianza delle parti non vi sarebbe praticamente mai. Io credo che questa tesi non possa essere accolta, e ritengo che il legislatore quando ha fatto riferimento alle parti abbia voluto far riferimento alle parti private, non a quella pubblica del PM; e questo al di là della più complessa discussione circa la possibilità di considerare parte del processo civile lo stesso ufficio del PM. Quindi, se noi ci limitiamo alle parti private, vediamo che se la [continua ..]


6. Esegesi dell'espressione «in tali ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario»

Il 1° comma dell’art. 38 disp. att. c.c. aggiunge poi che: «in tali ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario». Qui a me sembra chiaro che “in tale ipotesi” significhi nelle ipotesi in cui un procedimento ex art. 333 c.c. sia stato attratto dinanzi al giudice ordinario. In questa ipotesi, e solo in questa ipotesi, anche tutti gli altri giudizi eventualmente cumulabili e sopra indicati, ovvero ripeto ex art. 84 (ammissione al matrimonio), art. 90 (assistenza alla stipulazione di convenzioni matrimoniali), art. 330 (decadenza della potestà sui figli), art. 332 (re­integrazione nella potestà), art. 334 (rimozione dall’amministrazione), art. 335 (riammissione nell’esercizio dell’amministrazione) e art. 371, ultimo comma (provvedimenti circa l’educazio­ne e l’amministrazione) del codice civile, possono trattarsi dinanzi al tribunale ordinario anziché dinanzi al tribunale per i minorenni. Si tratta di casi non frequenti. Dunque, la differenza è questa: mentre la pendenza (nel senso sopra visto) di un procedimento di separazione, divorzio, 316 c.c., 317 bis c.c., 710 c.p.c. e art. 9 l. divorzio, l. n. 898/1970, sposta la competenza del procedimento ex art. 333 c.c., gli stessi procedimenti non spostano automaticamente anche la competenza degli altri procedimenti ex artt. 84, 90, 330, 332, 334, 335, 371 c.c., poiché questo potrà avvenire solo quando i procedimenti in questione di separazione, divorzio, 316 c.c., 317 bis c.c., 710 c.p.c. e art. 9 l. divorzio, l. n. 898/1970 abbiano già attratto anche un procedimento ex art. 333 c.c. Ciò mi sembra emerga in modo chiaro dalla legge, che non ha posto tutti i sopra indicati procedimenti di competenza del tribunale per i minorenni sullo stesso piano, ma ha distinto il caso dell’art. 333 c.c. rispetto agli altri, e ha previsto lo spostamento di competenza anche per gli altri, nel solo caso indicato con l’espressione “in tale ipotesi”, ovvero nelle ipotesi in cui «Per i procedimenti di cui all’art. 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o [continua ..]


7. Connessione e continenza tra procedimenti riguardanti i minori

Dobbiamo ora tornare un attimo sull’espressione “in corso”, sotto un diverso profilo, che è quello della connessione, continenza e/o litispendenza tra cause. a)  Il caso più semplice è quello che si introduca una controversia di separazione e divorzio dinanzi al tribunale ordinario e poi vi sia da introdurre una controversia ex art. 333 c.c. In questi casi è chiaro che la controversia ex art. 333 c.c., per l’inequivocabile tenore letterale del1° comma dell’art. 38 disp. att. c.c., possa introdursi dinanzi al giudice ordinario. Si badi, però, che il 1° comma dell’art. 38 disp. att. c.c. fa riferimento alla “competenza” del giudice e non alla persona fisica che già abbia presso di sé pendente il procedimento di separazione o divorzio. Va da sé, allora, a mio parere, nel rispetto delle forme, che il processo ex art. 333 c.c. (che peraltro ha rito diverso rispetto a quello di separazione e divorzio) vada introdotto dinanzi all’ufficio ordinario competente per territorio, ma non anche introdotto con istanza diretta al giudice persona fisica che abbia assegnata la causa di separazione o divorzio. Il tribunale, se del caso, provvederà alla riunione dei procedimenti per connessione ex art. 40 c.p.c. se pendenti dinanzi ad uffici giudiziari diversi, oppure ex art. 274 c.p.c. se pendenti dinanzi al medesimo ufficio giudiziario. Ma la riunione, o la trattazione contestuale, seppur auspicabile, non è automatica né imposta. Conferma se ne ha dalla circostanza che i giudizi di separazione, divorzio, 316 c.c. 317 bis c.c., 710 c.p.c. e art. 9 l. divorzio, l. n. 898/1970 potrebbero pendere anche in sede di appello e/o di gravame, rimanendo egualmente idonei a spostare la competenza del procedimento ex art. 333 c.c. Ma è evidente che in questi casi nessun simultaneus processus potrebbe darsi, trattandosi, appunto, solo e soltanto di uno spostamento di competenza. b)  Più complesso è il caso in cui si introduca prima, dinanzi al tribunale per i minori, il procedimento ex art. 333 c.c. e poi successivamente dinanzi al tribunale ordinario un procedimento di separazione o divorzio. Quid iuris in questi casi? Ora, io credo che in questi casi il procedimento ex art. 333 c.c. resti nella [continua ..]


8. Controversie sulle competenza

Preciso, infine, che, se sorge controversia sulla competenza, vige l’ovvio principio generale secondo il quale ogni giudice è giudice della propria competenza. Poiché trattasi di competenza per materia forte con giudizi che vedono presente il PM, nelle ipotesi in cui i procedimenti si diano in camera di consiglio ex art. 737 c.p.c., non ritengo si possano applicare le preclusioni sulle eccezioni di incompetenza ex art. 38 c.p.c. Il provvedimento sulla competenza, sempre secondo le regole generali, sarà impugnabile dinanzi alla Corte di Cassazione con regolamento di competenza ex art. 41 c.p.c.


9. La scelta del rito camerale ex art. 737 ss. c.p.c.

E vengo alle questioni di rito. Recita il 2° comma dell’art. 38 disp. att. c.c.: «Nei procedimenti in materia di affidamento e di man­tenimento dei minori si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile». La scelta è chiara. Il procedimento generale che si è scelto è quello dei procedimenti in camera di consiglio. Non entro nel merito di questa scelta, che qualcuno potrebbe criticare. A mio parere il procedimento in camera di consiglio, per come reso diritto vivente dalla giurisprudenza, assicura normalmente i diritti fondamentali processuali, e quindi la scelta di optare per un simile rito, piuttosto che per quello più farraginoso di cui al secondo libro del codice di procedura civile, può ritenersi giustificabile, e financo preferibile. Mi limito ai dati tecnici. Il primo, e principale, è questo: il procedimento camerale si applica non a tutte le controversie relative a minori ma a solo quelle, recita la norma, «in materia di affidamento e di mantenimento dei minori». Quid iuris per le controversie minorili che non attengano però ad affidamento e/o mantenimento? Si consideri, infatti, che la riforma ha spazzato via tutto il vecchio testo dell’art. 38 disp. att. c.c., ed oggi vanno al tribunale per i minorenni le sole controversie richiamate nel primo comma, ovvero, ancora, quelle ex artt. 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371 c.c. Il vecchio testo, al contrario, ne richiamava molte altre (ad esempio erano di competenza del tribunale per i minorenni le controversie ex artt. 171, 194, 250, 252, 262, 264 c.c.) che oggi non sono più richiamate e che quindi, secondo i criteri generali, sono di competenza oggi del tribunale ordinario. Quindi il problema che pongo è questo: le controversie ex artt. 171, 194, 250, 252, 262, 264 c.c. sono di competenza del tribunale ordinario; dopo di che, ai sensi del 2° comma dell’art. 38 disp. att. c.c. si trattano con il rito camerale solo le controversie «in materia di affidamento e di mantenimento dei minori». Le controversie sopra richiamate (ex artt. 171, 194, 250, 252, 262, 264 c.c), allora, che non sembrano aver ad oggetto, se non in senso assai lato, questioni relative all’affidamento o al mantenimento dei minori, e che oggi vanno al giudice [continua ..]


10. Segue) Esegesi dei problemi che il rito camerale pone in forza del nuovo art. 38 disp. att. c.c.