1. Premessa - 2. Gli interventi della novella sul codice civile - 3. I riflessi della novella sulle relazioni giuridiche familiari - 3.1. Unicità dello status e definizione costituzionale della famiglia - 3.2. La disciplina unificata dei diritti e doveri dei figli e della potestà genitoriale - 4. I profili successori e il problema dei figli non riconoscibili - NOTE
L’odierno convegno (AIAF Veneto 25 gennaio 2013) rappresenta un’occasione molto importante, forse la prima in cui sostanzialisti e processualisti affrontano una legge sicuramente epocale, quale è la recente novella in tema di filiazione. Infatti, dopo la riforma del diritto di famiglia, la l. 10 dicembre 2012, n. 219 segna la più rilevante tappa – più ancora di quella dell’affidamento condiviso – nella regolamentazione giuridica dei rapporti familiari. Per intendere appieno la portata di questa novella, è opportuno richiamare brevemente la previgente disciplina, scandendo l’evoluzione del diritto di famiglia in tre momenti: il passaggio dalla filiazione illegittima alla filiazione naturale; la tendenziale equiparazione dello stato dei figli legittimi e naturali, avviatasi con la riforma del diritto di famiglia del 1975 e proseguita con la legge sull’affidamento condiviso (2006); infine, l’unificazione dello stato di filiazione operata dalla legge oggi presa in esame, la quale, a ben vedere, trascende la tematica della filiazione, giungendo a mettere in discussione l’intera organizzazione giuridica della famiglia. Nell’originaria formulazione del Libro I del codice civile, entrato in vigore nel 1939, la filiazione fuori del matrimonio era definita illegittima, cioè contro la legge. Secondo quella impostazione, la filiazione, per avere una tutela giuridica, doveva originare da genitori uniti in matrimonio e, pertanto, la filiazione illegittima era considerata – nell’idea del legislatore – come una sorta di situazione eccezionale, che andava trattata come tale e soprattutto che non poteva mai entrare in conflitto con i diritti della filiazione legittima, i quali avevano un riconoscimento prioritario. Secondo il codice civile del 1942, fuori dalla famiglia legittima non esisteva un’altra realtà che potesse avere, dal punto di vista giuridico, il nome di famiglia. Come scriveva, ancora negli anni ’50, Antonio Cicu, maestro bolognese di cui abbiamo celebrato, pochi giorni or sono, i cinquant’anni dalla scomparsa: «Sì, è vero, il problema della filiazione naturale esiste. È un problema delicato per il legislatore; è ovvio che ci sono dei soggetti che patiscono un trattamento giuridico deteriore, senza averne responsabilità, tuttavia la loro posizione non può mai [continua ..]
Nel contesto giuridico sin qui descritto, è intervenuta la novella del 2012, la quale si compone di 6 articoli. Il presente contributo verterà principalmente sull’art. 1, rubricato Disposizioni in materia di filiazione e su alcuni interessanti spunti ricavabili dalla lettura dei principi della delega al Governo, contenuti nell’art. 2. Preliminarmente, è interessante notare il contraddittorio titolo – Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali – dato ad una legge che si propone di affermare la definitiva unificazione dello stato della filiazione. Il titolo della legge mantiene quell’espressione “figli naturali” che, al contempo, elimina dall’ordinamento: sarebbe stato assai più appropriato riferirsi a «disposizioni in materia di filiazione», secondo la rubrica dell’art. 1. L’art. 1 della novella modifica, con effetto dall’entrata in vigore (1 gennaio 2013), gli artt. 74, 250, 251, 258, 276 c.c. e la rubrica del Titolo IX del Libro I, che va a intitolarsi Della potestà dei genitori e dei diritti e dei doveri dei figli; mentre introduce nel codice gli artt. 315 (completamente rivisto nella rubrica e nel contenuto), 315 bis e 448 bis c.c. Il nuovo 1° comma dell’art. 74 c.c. dispone: «la parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nel caso di adozione di persone maggiori di età di cui agli artt. 291 ss.». Tale netta previsione sancisce che di parentela si deve parlare, oggi, solo in dipendenza del fatto biologico della filiazione. Cionondimeno, permane il carattere necessario del riconoscimento perché lo status di filiazione venga ad esistenza, nel senso che il figlio non riconosciuto si trova in una situazione in cui propriamente non può parlarsi di stato di figlio. L’art. 250 c.c., propriamente dedicato al tema del riconoscimento, subisce varie modificazioni. La sostituzione più rilevante è quella del 4° comma che, trattando della necessità – per il genitore che intenda riconoscere il figlio infraquattordicenne nato fuori del matrimonio [continua ..]
Rispetto all’esposizione sin qui svolta, possono individuarsi tre profili di approfondimento che meritano di essere presi in considerazione, al fine di comprendere meglio l’effettiva portata innovatrice della legge in esame e la sua incidenza sul sistema del diritto di famiglia. Le norme sin qui citate affermano che ai fini della parentela rileva unicamente la discendenza da uno stipite comune, senza discriminazioni ulteriori; che gli effetti del riconoscimento si estendono ai parenti del genitore che effettua il riconoscimento; che il riconoscimento del figlio nato al di fuori del matrimonio lo inserisce nella parentela del genitore, con stato identico degli eventuali altri figli anche se nati fuori del matrimonio. Ne deriva che la nozione di famiglia si allarga, ricomprendendo anche i figli naturali, il cui rapporto non è più limitato al solo proprio genitore, ma anche ai parenti di questo. Quanto ora detto vale anche per i figli adulterini i quali, fino alla riforma del 1975, non potevano nemmeno essere riconosciuti, né dichiarati, godendo unicamente (dal 1938) di un diritto agli alimenti, previsto dall’art. 279 c.c., poi esteso dalla Corte costituzionale al mantenimento [13].
Una prima riflessione può essere svolta, considerando i principi introdotti con la novella del 2012, alla luce delle fondamentali disposizioni della Costituzione in tema di rapporti familiari e, segnatamente, degli artt. 29 e 30, 3° comma, Cost. Sembra che dalle norme sopra citate risulti radicalmente modificata la nozione di famiglia legale, che, ora, non appare più necessariamente fondata sul matrimonio, considerato che i vincoli giuridici tra i suoi membri dichiaratamente prescindono da esso. Il matrimonio nasce, storicamente, con il preciso scopo di rendere i figli legittimi; per distinguere i figli che nascevano nel matrimonio da quelli che nascevano al di fuori di esso, perché solo i figli nati all’interno del matrimonio avevano un certo trattamento. Il matrimonio era seminarium reipublicae, cioè rappresentava quella base essenziale per la società, una società che non conosceva lo Stato come lo conosciamo noi, che non conosceva il welfare, ma che conosceva solo la famiglia, per cui tutti i bisogni della persona trovavano soddisfazione – dalla nascita, alla morte, alla malattia – nella famiglia, che doveva quindi avere una stabilità ad ogni costo, verso la quale l’interesse dell’ordinamento giuridico era prioritario. Un progresso della società senza la famiglia non poteva neppure prospettarsi. Oggi sono cambiate molte cose: la famiglia non è più così essenziale, anche se pur sempre una risorsa importantissima. Ecco che allora, diversamente da quello che solo 50 o 60 anni fa si riteneva, si può dare ingresso ai diritti dei membri della famiglia, ai diritti della donna, al diritto di ciascuno dei coniugi eventualmente a separarsi e a divorziare (come si esprime la Cassazione), ai diritti dei figli nati al di fuori del matrimonio; in breve, al mondo dei diritti, che necessariamente era sacrificato quando il valore preminente per l’ordinamento giuridico era quello di assicurare la compattezza del nucleo familiare, proprio per la funzione sociale che questo nucleo era chiamato ad assolvere. Si pone quindi – alla luce delle innovazioni introdotte dalla l. n. 219/2012 – l’interrogativo sulla coerenza di tale nuovo assetto rispetto a quanto enunciato dal 1° comma dell’art. 29 Cost., che pone il matrimonio quale elemento costitutivo della famiglia, e dall’art. 30, ultimo comma, [continua ..]
La nuova disciplina della potestà genitoriale sopra richiamata, letta nell’ambito della norma di apertura del Titolo IX, quella cioè che afferma solennemente che tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico e che quindi beneficiano in pari misura dei diritti enunciati dal nuovo art. 315 bis c.c., induce ad interrogarsi sul complessivo assetto delle norme relative all’esercizio della potestà ed in particolare di quelle, rimaste inalterate, formulate agli artt. 316, 317 e 317 bis c.c. Non vi è dubbio che, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo art. 315 bis c.c., debba ritenersi che le disposizioni dell’art. 316 c.c., rubricato Esercizio della potestà dei genitori, e dell’art. 317 c.c., rubricato Impedimento di uno dei genitori – in origine destinate ai soli genitori coniugati stante l’enunciazione all’art. 317 bis c.c. di regole specifiche per quelli naturali – trovino applicazione generalizzata a tutti i rapporti genitori-figli. Ciò pone il problema della sorte dell’art. 317 bis c.c., che appunto disciplina l’esercizio della potestà in capo al genitore naturale, problema che era stato recentemente affrontato dalla Cassazione [21], la quale aveva ritenuto tacitamente abrogata la norma per incompatibilità con la successiva disciplina dettata agli artt. 155 ss. c.c. Nel criticare detta decisione, si era fatto rilevare come la disposizione dell’art. 317 bis c.c. non risultasse incompatibile con quella dell’art. 155 c.c., che doveva considerarsi indirizzata specificamente alle controversie insorte a seguito di rottura della convivenza tra i genitori non coniugati, senza in alcun modo impingere nella condizione di coloro che non avevano mai convissuto, relativamente ai quali ben potevano continuare ad applicarsi le regole enunciate al 2° comma dell’art. 317 bis c.c. [22]. Ora, tuttavia, alla luce dell’art. 315 c.c., detta affermazione va rivista poiché non appare più giustificabile una disciplina differenziata dell’esercizio della potestà in riferimento alla natura della filiazione; piuttosto, deve ritenersi che essa si atteggi unitariamente, in armonia con l’affermato stato unico di figlio, a prescindere dalla modalità della sua [continua ..]
I riflessi successori delle disposizioni già entrate in vigore ed in particolare di quelle che modificano gli artt. 74 e 258 c.c. sono di tutta evidenza. Non vi è dubbio infatti che, in virtù del rapporto di parentela che si instaura tra il figlio, anche di genitori non coniugati, e i relativi consanguinei, egli, diversamente da quanto sino ad ora accadeva, sia chiamato a pieno titolo alla successione legittima sulla base di quanto disposto dagli artt. 565 ss. c.c. Da un punto di vista pratico questo effetto è tra i più rimarchevoli tra quelli prodotti dalla novella. Più in particolare, con riguardo alla successione necessaria, deve ritenersi che tra i legittimari di cui all’art. 536 c.c. vadano inclusi anche gli ascendenti naturali, così abrogandosi in parte qua il disposto dell’art. 538 c.c., che li escludeva dalla quota di riserva ivi contemplata. Con riguardo alla successione legittima, seguendo l’ordine delle disposizioni contenute agli artt. 565 ss. c.c., risultano modificati gli artt. 565, 570 e 571 c.c., non potendosi più configurare ascendenti “legittimi” e dovendosi ora ricomprendere nel loro ambito la successione tra fratelli e sorelle naturali, in precedenza come noto esclusa [23], nonché l’art. 572 c.c., da intendersi esteso anche a quei parenti collaterali che sino ad ora non erano tali in rapporto ai figli nati fuori del matrimonio [24]. Nulla sembra innovato invece per i figli non riconosciuti e non riconoscibili, come si avrà modo di precisare infra, mentre, a seguito dell’affermazione del principio di unicità dello stato di figlio e dell’abrogazione della legittimazione (art. 1, 10° comma), risulta abrogato l’istituto della commutazione previsto all’art. 537, 3° comma, c.c. [25]. Il legislatore non ha dettato norme transitorie relative alle disposizioni sopra dette; conseguentemente, esse troveranno applicazione solo alle successioni apertesi dopo il primo gennaio 2013, cosicché, con riferimento alle successioni apertesi in precedenza, resta precluso ogni diritto dei parenti “naturali” sulla base delle previgenti disposizioni che regolavano la chiamata legale all’eredità. È interessante rilevare come, analogamente, il legislatore del codice civile, il cui Libro II aveva innovato rispetto al codice unitario in materia [continua ..]