Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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I provvedimenti di modifica delle condizioni della separazione (e del divorzio) non sono immediatamente esecutivi, essendo soggetti alla disciplina di cui all'art. 741 c.p.c. (Nota a Cass. 27 aprile 2011, n. 9373) (di Alberto Figone (Avvocato del Foro di Genova e Docente di Diritto Privato nella Scuola di specializzazione per le professioni legali, Università di Genova))


SOMMARIO:

- NOTE


La sentenza della Corte Cass. 27 aprile 2011, n. 9373 affronta una questione estremamente rilevante nella pratica, sulla quale manca una specifica elaborazione giurisprudenziale: ci si chiede infatti se i decreti, resi dal Tribunale a definizione di un procedimento ex art. 710 c.p.c. per la modifica delle condizioni della separazione, siano immediatamente esecutivi o meno. La Suprema Corte, Sez. I civ., perviene alla soluzione negativa, dopo aver confrontato le discipline della separazione e del divorzio, alla luce dei principi generali del codice di rito. La complessità della questione è peraltro confermata dal fatto che una (relativamente di poco) successiva sentenza della stessa Corte Cass. civ., Sez. III, ha invece affermato il principio opposto, ponendosi in posizione critica nei confronti della decisione in esame [114]. Come è noto, l’art. 710 c.p.c. prevede che le parti possano sempre richiedere la modifica dei provvedimenti in favore del coniuge e della prole contemplati in una sentenza di separazione giudiziale (ovvero in un decreto di omologa di una consensuale, come nel caso di specie); analoga previsione è contenuta nell’art. 9, 1° comma, l. divorzio. Le norme sono espressione del più generale principio per cui quei provvedimenti sono operativi “rebus sic stantibus”, dovendo necessariamente il regime di separazione, o di divorzio, adattarsi a modifiche di fatto sopravvenute. È previsto espressamente che la domanda al Tribunale debba essere proposta «con le forme del procedimento in camera di consiglio», e dunque con ricorso, sulla scorta di quanto dispone l’art. 737 c.p.c. La disposizione dell’art. 710 c.p.c., nella sua attuale formulazione, venne introdotta dal legislatore con l. n. 331/1988; in epoca precedente quel procedimento era infatti assoggettato alle forme ordinarie del processo di cognizione (e, dunque, il regime dell’esecutività della relativa sentenza era quello generale di cui all’art. 282 c.p.c., che in allora l’affidava ad un provvedimento del giudice su istanza di parte). La modifica per il rito camerale fu giustificata da ragioni di snellezza e celerità del procedimento. La questione dell’esecutività del provvedimento reso a definizione di quel procedimento peraltro non ebbe a mutare: l’art. 741 c.p.c. e­scludeva ed esclude che i provvedimenti resi nella [continua ..]


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