Relazione tenuta all’Assemblea nazionale dell’AIAF, Milano 17-19 maggio 2012.
1. Premessa - 2. Criteri di determinazione dell'assegno di mantenimento - 3. Accordi a latere della separazione consensuale - 4. Contenuto dell'ordinanza presidenziale nel giudizio di divorzio - 5. Differenze tra assegno di mantenimento e assegno divorzile - 6. La realtà socio economica attuale - 7. Conclusioni - NOTE
La giurisprudenza della Corte costituzionale rappresenta, nella materia dei rapporti patrimoniali tra coniugi, un fondamentale punto d’osservazione per chi voglia esaminare l’evoluzione dei relativi istituti in rapporto al mutare del costume sociale, sia che si voglia ravvisare nel diritto uno specchio del costume sociale, sia che si voglia, invece, sottolineare la funzione propulsiva del diritto rispetto al costume sociale. In una dotta pronuncia del 1995 [101] la Consulta affermava che tra le linee fondamentali della riforma del diritto di famiglia va ravvisata una logica paritaria nella posizione di entrambi i coniugi, principio estensibile agli aspetti del lavoro e delle sfere patrimoniali. Ciò in maggiore aderenza all’odierna realtà sociale delle famiglie, ed alla moderna concezione che valorizza l’attività di ciascuno dei coniugi, escludendo la subordinazione economica di uno all’altro. Questa linea tendenziale si manifesta in diverse norme vigenti, tra le quali il nuovo testo dell’art. 143 c.c., l’abolizione dell’antico istituto della dote, l’introduzione del regime legale della comunione dei beni, nonché il passaggio della separazione dei beni all’ambito dei regimi convenzionali, in cui i coniugi optano espressamente per un regime volontario che implica l’esclusione di interferenze fra i loro patrimoni, specie nell’ipotesi in cui questi siano frutto delle rispettive attività. Il primo elemento che gioca un ruolo fondamentale nel mutamento dei rapporti patrimoniali tra coniugi è il superamento del principio di indissolubilità del matrimonio che, nel 1970, avvia il lungo ed inarrestabile cammino che rivoluzionerà il significato della norma costituzionale in cui si afferma il principio dell’unità familiare (art. 29 Cost.). Nel 1966 la Corte costituzionale [102], nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 156 c.c., perché in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto poneva una diversità di tutela basata su differenze di genere, affermava che «L’assoluto divieto fatto al legislatore dall’art. 3 di disporre qualsiasi diversità di trattamento giuridico per ragioni di sesso, incontra, per quanto riguarda i rapporti familiari, un solo e tassativo limite, qual’è posto dall’art. 29, 2° co., della [continua ..]
«Al coniuge al quale non sia addebitabile la separazione spetta, oggi, ai sensi dell’art. 156 c.c., un assegno tendenzialmente idoneo ad assicurargli un tenore di vita analogo a quello che aveva prima della separazione, sempre che non fruisca di redditi propri tali da fargli mantenere una simile condizione e che sussista una differenza di reddito tra i coniugi. La quantificazione dell’assegno deve tener conto delle circostanze (art. 156, 2° co., c.c.) consistenti in quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni economiche delle parti» [105]. «Nel giudizio di separazione personale la verifica della ricorrenza dei presupposti per l’attribuzione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge più debole e la relativa quantificazione non presuppongono di necessità l’accertamento da parte del giudice del titolo di proprietà delle sostanze economiche di pertinenza di ciascun coniuge, essendo sufficiente ai fini di tale accertamento un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali delle parti, tratta dagli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, suscettibili di incidere sulle condizioni economiche delle parti, e, quindi, nel caso d’immobili anche desunta dalla disponibilità concreta di essi e dal vantaggio economico connesso alla possibilità di fruirne» [106]. Nel determinare se ed in che misura possa riconoscersi ad uno dei coniugi il diritto all’assegno di mantenimento occorre, dunque stabilire: a)se vi sia disparità di reddito tra i coniugi; b)quale fosse il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; c)gli elementi di fatto di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito, che incidono sulle condizioni economiche delle parti. In merito al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, si tratta di un parametro funzionale a regolare i casi in cui vi sia notevole disparità di reddito tra i coniugi ed i casi in cui uno dei coniugi non abbia redditi ed è spesso, ma erroneamente [107], correlato alla valutazione del fatto che l’attuale condizione economica di una delle parti possa considerarsi o meno conseguenza dell’apporto di lavoro [continua ..]
Si noti che l’apporto di lavoro domestico, ma anche in generale i doveri di solidarietà familiare, non hanno rilevanza nei giudizi diversi dalla separazione e dal divorzio. Ad esempio, la costruzione di un immobile su suolo di proprietà esclusiva di uno dei coniugi è di proprietà di quest’ultimo secondo i principi dell’accessione, a nulla rilevando l’apporto costituito dall’assistenza e dal sostegno morale, affettivo e manageriale che l’altro coniuge assume d’aver fornito alla famiglia [120]. Il principio viene ripetuto in tema di comunione legale [121], nonostante lo stretto nesso esistente tra la separazione personale e lo scioglimento della comunione legale [122]. Con specifico riguardo, poi, alle convenzioni che i coniugi sottoscrivono in occasione della crisi coniugale, nonostante il legislatore abbia evitato di utilizzare il termine “contratto” nella materia della famiglia (che compare solo negli artt. 162, 4° comma, c.c. e 166 c.c.), è ormai un dato acquisito che vi sia piena compatibilità tra contratto e famiglia, secondo quanto già limpidamente espresso dalla Corte di legittimità nel 1993 [123], e che siano pertanto pienamente validi gli accordi di natura prettamente patrimoniale che valgono a definire l’assetto patrimoniale conseguente alla separazione. Tali accordi sono stati definiti con una felice espressione i “contratti della crisi coniugale” [124], proprio per esprimere il passaggio dalla concezione istituzionale della famiglia alla concezione costituzionale, improntata al principio di eguaglianza e pari dignità dei coniugi [125]. Le già richiamate pronunce della Consulta, a partire dalla dichiarazione d’incostituzionalità del divieto di donazioni tra coniugi [126], hanno avuto un ruolo molto incisivo nell’ambito della contrattazione familiare, sempre più modificata nel senso dell’autonomia contrattuale dei coniugi dopo l’introduzione, nel 1987, del divorzio su domanda congiunta. La separazione consensuale (ancor più dell’accordo sul versamento una tantum dell’assegno divorzile e del ricorso per divorzio congiunto), in ragione della collocazione cronologica a ridosso della crisi coniugale, rappresenta lo strumento privilegiato di emersione dei contratti della crisi coniugale, fermo [continua ..]
La Suprema Corte [133] pur affermando che «solo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio fa venir meno il vincolo matrimoniale e lo stato di separati, che costituisce il presupposto dell’obbligo di mantenimento del coniuge, un obbligo che contestualmente cessa ed è eventualmente sostituito da quello di corrispondere l’assegno divorzile» e che pertanto «la sentenza di divorzio non necessariamente comporta la cessazione della materia del contendere nella controversia sulle richieste di modificare le condizioni accessorie della separazione, qualora permanga un interesse delle parti alla definizione di tale ultimo giudizio, che ha ad oggetto l’assegno dovuto al coniuge sino al passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia il divorzio» ha ritenuto inammissibile la domanda ex art. 710 c.p.c. proposta dalla medesima parte che già abbia instaurato il giudizio di divorzio, per violazione del principio del ne bis in idem. La Corte ha, in particolare, osservato che, «pur nella diversità del titolo dell’attribuzione in sede di separazione e in quella di divorzio, dev’esser dato rilievo al fatto che il risultato economico cui si tende è lo stesso» e ancora, che «la legge costruisce un sistema di garanzie poiché la parte può dolersi dei contenuti dell’ordinanza presidenziale non soltanto con il reclamo alla Corte d’appello, ma anche con la richiesta di modifica dell’ordinanza presidenziale al giudice istruttore ai sensi dell’art. 4, 8° co., l. 898/70». Ma anche se il giudizio di divorzio sia stato introdotto dal coniuge beneficiario dell’assegno, mentre quello ex art. 710 c.p.c. è stato invece instaurato dal coniuge obbligato, è, comunque, da accogliere la soluzione dell’inammissibilità prospettata dalla Corte. I provvedimenti temporanei ed urgenti assunti dal Presidente ai sensi dell’art. 4, 8° comma, l. n. 898/1970, in quanto evidentemente antecedenti la sentenza di divorzio, possono definire le questioni relative all’assegno di mantenimento sulla base di fatti sopravvenuti nel periodo intercorrente tra il passaggio in giudicato della sentenza di separazione o l’omologazione della separazione consensuale e la sentenza di divorzio: può, dunque, inferirsi la competenza funzionale del [continua ..]
Presupposti comuni dell’assegno di mantenimento e dell’assegno divorzile sono il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio ed il confronto tra la condizione reddituale e patrimoniale delle parti, nell’ottica di salvaguardare il principio di parità dei coniugi. Orientamenti della giurisprudenza tendenti ad esercitare con sempre maggiore incisività i poteri officiosi finalizzati a conoscere quale sia la complessiva e reale situazione reddituale e patrimoniale dei coniugi trovano un adeguato principio ispiratore nell’art. 8 della CEDU [134], che afferma il principio per cui l’autorità pubblica non può ingerirsi nella vita privata e familiare a meno che ciò non sia necessario alla protezione dei diritti e delle libertà altrui [135]. In relazione alla tendenza a ‘privatizzare’ i rapporti economici tra coniugi separati e/o divorziati, va però evidenziato come limite comune alla rilevanza di tali accordi, tale da giustificare l’intervento giudiziale, l’incidenza di circostanze sopravvenute all’assetto economico concordato. La giurisprudenza della Suprema Corte ha ritenuto la funzione esclusivamente assistenziale dell’assegno divorzile, per cui la sua attribuzione è determinata dall’impossibilità del coniuge richiedente di procurarsi adeguati mezzi “per ragioni obiettive” da intendersi come insufficienza dei medesimi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre l’istante, a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza dì matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del matrimonio [136]. Il riferimento alla natura assistenziale [137] dell’assegno divorzile costituisce il primo elemento di diversificazione di tale assegno rispetto all’assegno di mantenimento, nel quale prevale la funzione solidaristica legata alla persistenza del vincolo matrimoniale. La diversità di presupposti e di criteri esclude che, in linea teorica, l’assegno di divorzio possa considerarsi la continuazione di quello di separazione: quest’ultimo si estingue inesorabilmente con il divorzio, indipendentemente dalla richiesta [continua ..]
I rapporti patrimoniali tra coniugi seguono, necessariamente, un diverso andamento se la coppia ha figli o meno in ragione dell’incidenza che, a norma dell’art. 155 quater c.c., ha l’assegnazione della casa familiare. Avremo un maggior numero di decisioni in cui l’eventuale assegno di mantenimento a favore del coniuge debole sarà verosimilmente d’importo ridotto rispetto al numero di decisioni in cui, in assenza di figli, non si darà luogo all’assegnazione della casa familiare ed i criteri di determinazione dell’assegno di mantenimento e dell’assegno divorzile opereranno pienamente. Infatti, dal “Rapporto sulla coesione sociale per l’anno 2011 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali” emerge quanto segue: – le famiglie presentano una prevalenza della tipologia coppie con figli, pari al 55,3%, mentre le coppie senza figli hanno un’incidenza del 31,4% e i mono genitori del 13,3% sul totale dei nuclei; – l’incidenza delle coppie con figli subisce una flessione, passando dal 62,4% del 1995 al 55,3% del 2010 a cui corrisponde un andamento crescente dell’incidenza delle coppie senza figli e dei mono genitori; – nel 2010 sono circa 5 milioni e 800 mila le coppie con figli minori. Nel 53,1% dei casi è ravvisabile un solo figlio, nel 38,8% due e nell’8,1% tre e più; – nel 2010 ci sono in Italia 6 milioni e 800 mila persone di età compresa tra i 18 e i 34 anni celibi e nubili che vivono con almeno un genitore e rappresentano il 58,6% della popolazione di riferimento. Si può quindi dire che una buona maggioranza di separazioni e divorzi, data la presenza di figli conviventi anche oltre la maggiore età con uno dei genitori, vedrà ridotta dall’assegnazione della casa familiare la misura dell’eventuale assegno di mantenimento e divorzile in favore del coniuge. Ancora oggi, dall’analisi dei dati statistici relativi al livello di occupazione, in base al genere, si evidenzia il significativo ritardo delle donne nel raggiungimento di un livello di occupazione pari a quello degli uomini. Nel 2010 la popolazione italiana conta poco più di 60 milioni di individui residenti sul territorio nazionale. Di questi 30.871 sono donne e 29.181 uomini. Circa il 42% della popolazione (quasi 25 [continua ..]
Nel 1970 la Corte costituzionale affermava: «La Corte ritiene che siffatta disparità di trattamento non trovi giustificazione in funzione dell’unità familiare. Si può, anzi, affermare che, quando si tratti dei rapporti patrimoniali fra i coniugi, è proprio l’eguaglianza che garantisce quella unità e, viceversa, è la diseguaglianza a metterla in pericolo». La norma chiave in tema di rapporti patrimoniali tra coniugi è l’art. 143, 3° comma, c.c., con cui è stato introdotto dalla riforma del diritto di famiglia nel 1975 il principio contributivo, con carattere inderogabile ai sensi dell’art. 160 c.c. L’apporto di lavoro casalingo può avere un rilievo solo ove sia reale e non celi una mera inoccupazione del coniuge, e deve essere tenuto in considerazione anche nel senso che, venuto meno con la separazione, comporterà nuovi oneri economici per il coniuge che ne beneficiava (minori economie nella spesa alimentare, colf, spese di lavanderia e di sartoria, baby-sitter). Le conseguenze dell’accentuazione del carattere contrattuale degli accordi maturati per risolvere i conflitti sorti, a vario titolo, nel momento della crisi coniugale sono: la modificabilità di tali accordi indipendentemente dall’intervento giudiziale, il pieno dispiegarsi della disciplina del contratto (accordo, interpretazione, simulazione, vizi del consenso, ecc.), l’affermazione della disponibilità dell’assegno divorzile, sostenuta in dottrina e da accorta giurisprudenza di merito, ma negata dalla giurisprudenza di legittimità. Ancora oggi, dall’analisi dei dati statistici relativi al livello di occupazione, in base al genere, si evidenzia il significativo ritardo delle donne nel raggiungimento di un livello di occupazione pari a quello degli uomini. Nel 2010 la popolazione italiana conta poco più di 60 milioni di individui residenti sul territorio nazionale. Di questi 30.871 sono donne e 29.181 uomini. Circa il 42% della popolazione (quasi 25 milioni di individui) rappresenta la forza lavoro nazionale divisa in 22.872 mila occupati e 2.102 mila disoccupati. Sono invece 35 milioni circa gli individui cosiddetti inattivi o “non forza lavoro” che per età anagrafica, scelta di vita o impossibilità restano fuori dal mondo del lavoro. La composizione per genere mostra una maggiore concentrazione [continua ..]