Relazione al Convegno “Fra moglie e marito: ordine familiare e dipendenza femminile dall’età moderna a oggi”, 15 novembre 2018, Università degli Studi di Firenze SAGAS Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte, Spettacolo.
L’articolo, dopo un breve excursus sulla evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia di assegno divorzile, si sofferma sulla attività istruttoria che dovrà essere svolta nei giudizi di divorzio alla luce di quanto affermato dalla Cassazione a Sezioni Unite con la nota Pronuncia n. 18287/2018. L’autrice conclude con l’auspicio che il legislatore intervenga dando attuazione ai principi costituzionali fissati dagli artt. 2, 3 e 29 prevedendo il diritto ad un assegno di divorzio temporaneo o introducendo i patti prematrimoniali che consentono alla coppia di disciplinare le conseguenze della fine della loro unione.
After a brief digression on the regulatory and case-law evolution of alimony, the article discusses the investigative activity that will have to be carried out in divorce cases, in light of what the Supreme Court in United Sections states with its well-known ruling n. 18287/2018. The author concludes with the hope that lawmakers will take action by implementing the constitutional principles enshrined by art. 2, 3, and 29, by establishing the right to temporary alimony, or by introducing prenuptial agreements allowing the couple to regulate the consequences of the end of their union.
1. Introduzione - 2. Il venir meno del principio dell'intangibilità del diritto all'assegno di divorzio - 3. La rimessione alla Corte costituzionale e la sentenza della Cass. n. 11504/2017 - 4. Le successive sentenze a seguito della sentenza della Cass. n. 11504/2017 - 5. La sentenza a Sezioni Unite n. 18287/2018 e il nuovo sistema probatorio - 6. Conclusioni - NOTE
L’evoluzione normativa ed applicativa dell’istituto giuridico dell’assegno di divorzio, norma introdotta con la l. n. 898/1970, poi modificata con la l. n. 74/1987, interpretata da plurime sentenze della Corte di Cassazione, ha seguito la storia dell’emancipazione femminile e l’evoluzione dello stile delle relazioni interpersonali. L’assegno di divorzio è nel diritto di famiglia italiano il baluardo a tutela del coniuge più debole, nel momento dello scioglimento del matrimonio. A tale diritto sono collegate altre forme di provvidenza quali il diritto alla pensione di reversibilità del coniuge onerato premorto (art. 9, 3° comma), il diritto ad un assegno periodico a carico della eredità in caso di stato di bisogno del beneficiario di assegno (art. 9 bis), il diritto ad una quota del TFR del coniuge onerato (art. 12 bis). Il principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi fissato dall’art. 29, 2° comma, Cost. che recita «Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare», costituisce il fondamento del principio di solidarietà familiare che ispira l’art. 5, 6° comma, l. n. 898/1970, oltre che gli artt. 143 ss. c.c. come modificati dalla legge di riforma di diritto di famiglia n. 151/1975. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare. Ai coniugi è garantita eguaglianza morale e giuridica in ogni fase del matrimonio, ivi compresa la cessazione o lo scioglimento del vincolo. Storicamente il coniuge economicamente più debole fra i due è la donna, situazione che perdura tutt’oggi nonostante la maggiore presenza delle donne nel mondo del lavoro rispetto agli anni ’70. L’assegno di divorzio è normato all’art. 5, l. n. 898/1970, che ha introdotto l’istituto del divorzio nell’ordinamento giuridico italiano il 24 luglio 1970. Fino ad allora il matrimonio era vincolo indissolubile, salvo i casi di scioglimento e nullità previsti dal codice civile. Il legislatore introduce il divorzio nel 1970 e prevede però l’assegno a favore del coniuge più debole quale tutela di questi dalle conseguenze [continua ..]
L’intangibilità del diritto all’assegno di divorzio ha iniziato però a scricchiolare in seguito ai mutamenti del costume sociale e delle relazioni. La separazione è diventata sempre più frequente, tanto da essere definita dagli psicologi un evento paranormativo del ciclo vitale della famiglia, e con sempre maggior frequenza anche la donna ha intrapreso relazioni affettive dopo il divorzio, instaurato nuove convivenze, creato nuove famiglie. Si è posto quindi il quesito se in caso di instaurazione di una convivenza da parte del beneficiario il diritto all’assegno divorzile venisse meno, considerato che fra i conviventi tengono ordinariamente condotte di mantenimento reciproco. La Cassazione in un primo momento ha asserito che, in caso di instaurazione di convivenza di fatto da parte del soggetto beneficiario, il diritto all’assegno di divorzio viene meno, ma non in maniera definitiva – rectius viene sospeso – potendo la nuova convivenza anche interrompersi con ciò determinando la reviviscenza del primigenio rapporto coniugale (Cass. civ., Sez. I, sent. 11 agosto 2011, n. 17195 [4]). Quindi ha poi asserito con sent. 3 aprile 2015, n. 6855 [5] il principio secondo il quale «L’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso». Si è così applicato per la prima volta al coniuge beneficiario il principio dell’auto responsabilità. Instaurare una convivenza significa formare un nuovo consorzio familiare all’interno del quale corrono doveri analoghi a quelli che corrono fra coniugi. La convivenza di fatto è legame instabile in sé che non offre le medesime garanzie previste da un matrimonio. L’instaurare una convivenza è fatto giuridico rilevante compiuto dal coniuge divorziato beneficiario di assegno divorzile, espressione di una scelta esistenziale libera e consapevole che comporta l’assunzione piena del rischio di una cessazione [continua ..]
In questo clima e dopo la sollecitazione data anche dal Tribunale di Firenze che aveva rimesso alla Corte costituzionale l’art. 5, 6° comma, l. n. 898/1970 per contrasto con gli artt. 2, 3 e 29 Cost., con ordinanza datata 22 maggio 2013, respinta dalla Corte con sent. n. 11/2015 con motivazione tecnica ma aperta al dubbio, la Corte di Cassazione, Sezione I con Pronuncia n. 11504/2017 ha rotto il fronte del “tenore di vita” introducendo un diverso ed opposto principio, quello dell’“autosufficienza o indipendenza economica”. La Corte ha confermato la natura assistenziale dell’assegno e la struttura bifasica del giudizio, ma ha mutato la funzione dell’assistenza: non più mantenere un tenore di vita corrispondente a quello della pregressa convivenza, ma garantire il raggiungimento dell’indipendenza economica. Ha indicato anche i parametri cui rapportare il giudizio sull’an debeatur (possesso di reddito di qualsiasi tipo, capacità di procurarselo, disponibilità di un’abitazione stabile) rimandando in ordine al quantum ai criteri dettati dalla norma (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio). Dato il principio enunciato, i parametri normativi potevano operare, quindi, come elemento di incremento (non più di decremento, si noti) della misura dell’assegno. Questa sentenza ha avuto grande risonanza mediatica, ne hanno scritto giornali, riferito telegiornali ed il tema è stato trattato in molte trasmissioni televisive, spesso con toni enfatici. È seguito un anno di interpretazioni libere del concetto di autosufficienza di merito e molti rigetti di domande di assegno di divorzio anche in cause giunte a precisazione delle conclusioni prima della Pronuncia n. 11504/2017. La giurisprudenza di merito si è per lo più adeguata al principio fissato dalla nuova interpretazione dell’art. 5, benché la Pronuncia fosse stata emessa non a Sezioni Unite, conferma di quanto consolidati fossero nel pensiero comune concetti quali l’auto responsabilità di ciascuno ed il diritto a potersi sciogliere da vincoli coniugali senza subirne conseguenze perenni.
Vi sono state però anche pronunce dissonanti che hanno dato risalto alla storia familiare (Trib. Milano 3 ottobre 2017, n. 9868), ai sacrifici fatti da una parte durante la vita matrimoniale (Trib. Roma 11 settembre 2017) e che hanno valutato il contesto sociale di riferimento (Corte App Genova 12 ottobre 2018) e le singole storie familiari (Corte App. Brescia 12 gennaio 2018). La Corte di Cassazione è quindi nuovamente intervenuta affermando che il parametro dell’autosufficienza economica non poteva essere determinato in via generale e astratto, ma con riferimento alla specifica situazione del richiedente e sì da garantirgli un’esistenza libera e dignitosa [7]. Questo orientamento della Corte di Cassazione ha prospettato una sostanziale abrogazione dell’istituto e della solidarietà post coniugale in genere, tanto contenuto era l’ambito di applicazione lasciato all’art. 5, 6° comma, l. n. 898/1970. La comunità scientifica e gli operatori del diritto hanno quindi denunciato tale rischio e sottolineato come una simile interpretazione dava luogo a sostanziali ingiustizie per quei casi in cui il coniuge debole avesse ridotto la propria attività lavorativa, rinunciando a progressioni di carriera per dedicarsi alla famiglia, dovesse comunque continuare ad occuparsi dei figli, fosse dotato di un patrimonio di entità modesta, non fosse in grado di tornare nel mondo del lavoro perché ormai privo di capacità professionali o anziano. Accade infatti con una certa frequenza che quando nascono i figli, la coppia decida che del loro accudimento si occupi prevalentemente la madre, soggetto che spesso fra i due percepisce già un reddito inferiore, magari anche limitando ulteriormente il proprio impegno lavorativo.
Tali criticità hanno dato luogo alla richiesta di intervento delle Sezioni Unite con sent. n. 18287/2018 in una fattispecie in cui in sede di separazione consensuale i coniugi avevano escluso l’assegno di mantenimento ed in sede di divorzio il tribunale aveva liquidato un congruo assegno alla moglie, revocato poi dalla Corte d’Appello per percepire questa un congruo stipendio e titolare di un notevole patrimonio mobiliare ed immobiliare. La Pronuncia a Sezioni Unite critica sia l’orientamento dato dalle Sezioni Unite n. 11490-1/1990, tenore di vita matrimoniale, che il criterio dell’autosufficienza economica dettato dalla sent. n. 11504/2017, aggira la questione del parametro in base al quale i mezzi vanno considerati adeguati e contesta la natura bifasica del procedimento di determinazione dell’assegno. Secondo la Corte, l’adeguatezza dei mezzi dev’essere valutata alla luce di tutti i criteri elencati dalla prima parte dell’art. 5, 6° comma, e non solo della condizione economica al momento del divorzio: è solo la loro considerazione complessiva che permette al giudice di cogliere ogni aspetto della storia di quel matrimonio e di valorizzarlo adeguatamente, al fine di determinare un giusto assegno. È fondamentale, ripete più volte la Corte, che questi criteri siano utilizzati tutti e tutti insieme, che siano equiordinati, ovvero secondo pari dignità e importanza [8]. La Corte pone al centro due elementi: gli accordi sulle regole della vita familiare succedutisi nel tempo e le loro conseguenze di lungo periodo sulla condizione economica, sociale e lavorativa di ciascun coniuge; il contributo dato da ciascun coniuge alla vita familiare e alla consistenza patrimonialeacquisita da entrambi e da uno solo durante il matrimonio. Al giudice è rimesso anche una valutazione prognostica circa la concreta possibilità per il richiedente di recuperare il pregiudizio economico e professionale subito. Viene così enunciato il principio secondo il quale «La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello [continua ..]
Concludendo e tralasciando le criticità applicative del principio enunciato dalla Suprema Corte evidenziate dalla dottrina, può dirsi che l’ambito applicativo dell’assegno di divorzio è oggi indubbiamente ridotto e con esso di tutti gli istituti della solidarietà post coniugale. La fattispecie tipo cui si può ritenere applicabile è infatti solo il caso in cui un coniuge abbia rinunciato alla propria attività lavorativa o abbia ridotto il proprio impegno lavorativo o rinunciato ad occasioni migliori per assolvere ai compiti di cura dei figli e della famiglia in genere. In tutte le altre situazioni in cui entrambi i coniugi abbiano comunque continuato il proprio percorso lavorativo, anche laddove al divorzio la situazione reddituale e patrimoniale dell’uno e dell’altro sia molto diversa, il coniuge più debole non si vedrà riconosciuto un assegno di divorzio e di conseguenza non avrà diritto alle altre forme di sostegno post coniugali previste dalla l. n. 898/1970 (pensione di reversibilità, quota del TFR, assegno a carico dell’eredità). Il principio è condivisibile in sé e farebbe pieno onore al cammino fatto dalle donne verso l’emancipazione dagli anni ’70 ad oggi se gli ostacoli alla affermazione della donna nel mondo del lavoro fossero effettivamente rimossi e se la ripartizione dei compiti di cura dei figli e degli anziani fosse effettivamente paritaria e se l’intervento sociale a favore delle famiglie fosse maggiore. Ovvero se alle donne fosse effettivamente garantito un accesso ed una permanenza nel mercato del lavoro pari a quella maschile. Tanti se, che non potranno che indurre le donne ad attentamente valutare se avere figli o meno: l’accudimento dei figli rimane per costume sociale appannaggio femminile e costituisce il limite forte e duraturo alla libertà di scelta economica e professionale della maggior parte delle donne. Tanti se, che potrebbero suggerire al legislatore di dare attuazione ai principi costituzionali fissati dagli artt. 2, 3 e 29 prevedendo il diritto ad un assegno di divorzio temporaneo, che garantisca al coniuge debole un tempo di riorganizzazione della propria esistenza sotto il profilo economico a prescindere dalle ragioni del gap reddituale, o introducendo i patti prematrimoniali che consentono alla coppia di disciplinare le conseguenze della [continua ..]