L’autore nell’esaminare puntualmente la soluzione indicata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sent. n. 18287/2018 evidenzia che la soluzione data trova nella legge, e non fuori di essa, i criteri per valutare l’adeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente e pone al centro della decisione sull’attribuzione dell’assegno, proprio i criteri dell’incipit del 6° comma, art. 5, l. divorzio. e, tra questi, soprattutto il peso della contribuzione data nel matrimonio, anche in rapporto alla durata di esso. Il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non rileverà più nella sua oggettiva sostanza, ma rileverà se ed in quanto sia stato raggiunto anche per mezzo dell’impegno, delle scelte, e dei sacrifici dell’ex coniuge richiedente l’assegno.
In closely examining the solution indicated by the United Sections of the Supreme Court of Cassation with decision n. 18287/2018, the author points out that the given solution finds in the law – and not outside of it – the criteria for assessing the adequacy of the means of the applying spouse, and places, at the centre of the decision on assigning alimony, precisely the criteria of the opening words of the sixth paragraph of art. 5 of the divorce law, and, of these criteria, the weight of the contribution made during the marriage most of all. The standard of living enjoyed during the marriage will no longer be of importance in its objective substance; however, relevance will be given to the question of whether and to the extent this standard was also attained through the commitment, choices and sacrifices of the former spouse applying for alimony.
1. Premessa - 2. La interpretazione del concetto di "mancanza di adeguatezza" - 3. L'emersione nel momento della crisi matrimoniale dei principi costituzionali di solidarietà, di dignità, di parità e di autodeterminazione - 4. Le Sezioni Unite trovano nella legge, e non fuori di essa, i criteri per valutare l'adeguatezza dei mezzi - NOTE
Il testo, ormai più che trentennale, dell’art. 5, 6° comma, l. 1° dicembre 1970, n. 898 [1] – ove si prevede la possibilità, per uno degli ex coniugi, di ottenere un assegno post-matrimoniale a carico dell’altro [2], ed ove si fissano, di conseguenza, i criteri per l’attribuzione e per la determinazione di tale assegno – è stato oggetto di varie e ripetute dispute, e di rinnovate e differenti letture, tra le più recenti delle quali si annovera, oggi, quella assai autorevolmente offerta dalle Sezioni Unite della Suprema Corte [3], nel luglio del 2018. Prima di questo intervento della Cassazione a Sezioni Unite, l’oggetto di codeste dispute, si rammenti, è consistito, principalmente, nel significato da attribuire a ciascuno dei numerosi criteri, che la disposizione appena evocata, detta in materia di assegno post-matrimoniale, mentre non particolarmente controverse sono state, fin dall’entrata in vigore della norma, la ripartizione delle funzioni e delle finalità tra detti criteri, nonché l’individuazione della relazione tra di essi [4]. Pressoché unanime [5], difatti, era divenuta l’opinione secondo la quale, il presupposto per l’attribuzione dell’assegno post-matrimoniale in favore di uno degli ex coniugi, potesse unicamente consistere nella mancanza di mezzi adeguati in capo a questi [6], accompagnata dall’oggettiva impossibilità di procurarseli [7], mentre le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare, ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune, nonché il reddito di entrambi, fossero criteri da applicare – anche in rapporto alla durata del matrimonio – solamente per la quantificazione dell’assegno [8]. Solo laddove il richiedente avesse dimostrato l’assenza di mezzi adeguati, e l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, dunque, il giudice avrebbe potuto attribuire un assegno [9], per la quantificazione del quale, in una fase successiva, sarebbero stati presi in considerazioni gli altri criteri contenuti nel 6° comma, art. 5, l. divorzio, vale a dire quelli dettati, appunto, nella prima parte di tale comma [10]. Fin dall’entrata in vigore del 6° comma, art. 5, l. divorzio, [continua ..]
Se a lungo pressoché condivisa è stata la ripartizione funzionale dei criteri di cui all’art. 5, 6° comma, l. divorzio, così come novellato nel 1987, spesso controverso, al contrario, è apparso il significato da attribuire, ad uno ad uno, a codesti criteri. Questo, sia per quanto concerne i criteri di quantificazione dell’assegno [15], sia – ed è ciò che ora interessa maggiormente – per quanto riguarda il criterio di attribuzione di esso, vale a dire la mancanza, in capo al richiedente, di mezzi adeguati, qualificata [16] dall’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. Sicuramente di rilievo, ad esempio, è stato precisare che cosa si dovesse intendere per “mezzi” [17], e pure centrale è stato chiarire in che potesse consistere la “incapacità di procurarseli” dovuta a “ragioni oggettive” [18]. Così è stato, altresì, per i vari criteri che si intendevano come di mera “quantificazione” dell’assegno [19]. Nondimeno, è risaputo come la chiave di volta del dibattito in tema di assegno post-matrimoniale sia consistita nell’individuazione del parametro rispetto al quale misurare la “adeguatezza”, o, per meglio dire, la “mancanza di adeguatezza” dei mezzi a disposizione dell’ex coniuge richiedente. La più rilevante questione – prevedibilmente e inevitabilmente generata, dalla ricordata formulazione normativa, frutto di ardui compromessi parlamentari [20], e perciò vaga ed ambigua [21] – è consistita, fin da subito e per lungo tempo, nel chiarire rispetto a che cosa dovessero risultare inadeguati i mezzi di cui poteva disporre l’ex coniuge richiedente l’assegno, affinché l’assegno stesso potesse essere disposto dal giudice [22]. È ben noto come le posizioni al riguardo coprissero un ampio arco, che andava, si può sintetizzare, dalla posizione, maggioritaria in dottrina, di chi riteneva sufficienti, e dunque tali da escludere il diritto all’assegno, mezzi che fossero adeguati ad un’esistenza autonoma, libera e dignitosa, anche se ben più modesta di quella avuta in costanza di matrimonio, all’opinione opposta, largamente dominante in giurisprudenza [23], che reputava preclusivi [continua ..]
Le Sezioni Unite, infatti, hanno sorpreso i più, superando la distinzione stessa tra criteri per il riconoscimento e criteri per la determinazione quantitativa dell’assegno, e rinvenendo i parametri per ravvisare l’adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi proprio tra quelli, di cui alla prima parte del 6° comma, art. 5, l. divorzio, e, in particolare, nella «valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto» [45]. Ciò, a tal punto da rideterminare la funzione stessa dell’assegno post-matrimoniale, che è stata ripetutamente indicata, non più come solamente “assistenziale”, ma, via via, come “perequativa-compensativa” [46], “perequativa e riequilibratrice”, “assistenziale-compensativa” [47]. Così facendo, va notato, si è accantonata quella separazione netta, tra criteri di attribuzione e criteri di determinazione dell’assegno, che, dalla novella del 1987 in poi, era stata per decenni un caposaldo condiviso in materia di assegno post-matrimoniale, e si è creata una situazione che ricorda assai, in questa prospettiva, quella precedente al 1987 [48], tanto da far pensare il lettore, per certi aspetti, ad una sorta di “ritorno al passato”. Prima di limitarsi a stigmatizzare, semplicisticamente, la decisione delle Sezioni Unite soltanto come un ritorno agli anni ’70 e ’80, o come un passo indietro nell’interpretazione della disciplina normativa sull’assegno di divorzio, forse anche contrario alla “intenzione del legislatore”, che starebbe alle radici della novella del 1987 [49], tuttavia, occorre sottolineare che la Corte ha posto molti argomenti attuali, a fondamento della propria più recente, e ben consapevole [50], lettura in materia di attribuzione dell’assegno post-matrimoniale [51]. Senza mancare di offrire argomenti esegetici [52], e spunti di comparazione [53], dunque, La Corte ha, soprattutto, basato la propria più recente lettura del 6° comma, art. 5, l. divorzio, sui principii costituzionali di solidarietà, di [continua ..]
E di fronte a questa incertezza, per trent’anni si è stati incerti tra il criterio del tenore di vita in costanza di matrimonio, e il criterio dell’autosufficienza economica per una vita libera e dignitosa. Senonché, osserva la Corte, nessuno di questi due parametri ha un’origine normativa. Entrambi sono stati rinvenuti fuori dalla legge sul divorzio in generale, e dell’art. 5 di tale legge in particolare. Ciò mentre, viceversa, era quella stessa legge, e più ancora, lo stesso 6° comma, art. 5, l. divorzio, ad offrire il più adeguato, e il più rispettoso della Costituzione, tra i possibili parametri per valutare l’adeguatezza dei mezzi in capo all’ex coniuge richiedente; vale a dire, appunto, il “contributo personale ed economico dato da ciascuno” dei coniugi “alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune”. Ecco che, quindi, oggi le Sezioni Unite della Suprema Corte ci illustrano come la mancanza di mezzi adeguati non vada misurata, né in rapporto all’oggettivo tenore di vita che vi fu durante il matrimonio, né in rapporto all’autosufficienza economica, ma vada valutata tenendo conto di quanto delle proprie potenzialità ognuno dei coniugi abbia sacrificato per dedicarsi alle necessità familiari, e per permettere la navigazione della famiglia nel pelago tumultuoso della vita [55]. Tutto ciò, altresì, tendo conto della durata dell’unione matrimoniale [56]. Osserva, ancora, la Suprema Corte come: per un verso, parametrare la mancanza di mezzi al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, rischi di generare una «locupletazione ingiustificata dell’ex coniuge richiedente in tutte quelle situazioni in cui egli possa godere di una situazione di particolare agiatezza oppure quando non abbia significativamente contribuito alla formazione della posizione economico-patrimoniale dell’altro ex coniuge» [57], e di «creare rendite di posizione disancorate dal contributo personale dell’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune o dell’altro ex coniuge» [58]; ma, per altro verso, parametrare tale mancanza alla mera autosufficienza economica, conduca all’ancora meno accettabile conseguenza di marginalizzare gli indici della prima parte del 6° comma, art. 5, l. [continua ..]