Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
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La tutela penale dei maltrattamenti economici (di Elena Gallo (Avvocato in Viterbo))


L’autrice affronta il tema della violenza economica dal punto di vista della tutela penale e nell’esaminare la giurisprudenza conclude come allo stato non sia possibile configurare un delitto di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p. con riguardo esclusivamente alle violenze economiche, con grave violazione dell’art. 3 della Convenzione di Istanbul, che afferma che la sola violenza economica configura una violenza punibile. Tale difficoltà nasce dal fatto che la violenza economica quasi sempre si esercita con omissioni, mentre il reato di maltrattamenti prevede condotte omissive o anche commissive. L’autrice afferma che qualcosa nell’ordinamento sta cambiando e il nuovo art. 570 bis c.p. introdotto di recente dalla d.lgs. n. 21/2018, di cui l’autrice evidenzia i tanti dubbi interpretativi che pone, ne è la dimostrazione, ma la risposta penale alla violenza economica in ambito familiare appare ancora disorganica e non sistematica.

The author deals with the issue of economic violence from the perspective of protection under criminal law, and in examining case law, she concludes that, in the current state of affairs, no offence of abuse pursuant to art. 572 of the Italian criminal code can be charged exclusively with respect to economic violence. This is a serious breach of art. 3 of the Istanbul Convention, which states that economic violence on its own is already punishable violence. Such difficulty arises from the fact that economic violence is almost always exercised by omission, while the offence of abuse entails behaviour of omission or also of commission. The author states that some change is being seen in the legal system, and the new article 570 bis of the Italian criminal code recently introduced by Legislative Decree n. 21/2018 – for which the author points out the many interpretative doubts it raises – bears witness to this, but the criminal-law response to economic violence in the family context still appears inconsistent and unsystematic.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Il reato di maltrattamento: lo stato dell’arte - 3. Il maltrattamento economico - 4. De iure condendo e de iure condito. Il nuovo art. 570 bis c.p. - NOTE


1. Introduzione

Il reato di maltrattamento è inserito nel Titolo XI del Libro II del Codice penale che tratta dei delitti contro la famiglia, all’interno del Capo IV che prevede i delitti contro l’assistenza familiare. Questa collocazione è stata criticata dalla maggioranza degli studiosi quasi immediatamente (tenuto conto delle vicende storiche), ove si consideri che già l’Antolisei osservava che il turbamento dell’ambiente familiare non emerge sempre e necessariamente come conseguenza delle condotte previste dall’art. 572 c.p. [1]; dello stesso avviso studiosi quali Giuseppe Maggiore e Vincenzo Manzini [2]. Se a metà degli anni ’50 del secolo scorso queste erano le posizioni dottrinarie, è evidente che, oggi, dopo oltre 60 anni, con l’evolversi, sia pur singhiozzante, del diritto di famiglia, all’interno di uno Stato laico e non più confessionale, dinanzi all’affermarsi di altre forme di convivenza riconosciute dall’ordinamento (e, ormai, previste nell’articolo [3]) una diversa collocazione della condotta illecita prevista dall’articolo in questione avrebbe, forse, giovato a quella chiarezza del diritto, sempre più chimerica, e viepiù indispensabile. In ogni caso, sia la dottrina che la giurisprudenza, stante l’attuale sistematica, non possono non evidenziare come la norma in questione abbracci un ampio numero di soggetti e i rapporti familiari, intesi in senso stretto, non sono certamente tutelati in via esclusiva, anzi, un esame attento dell’articolo porta alla conclusione che il bene tutelato dal reato non sia l’interesse della famiglia, ma “i rapporti di familiarità” vale a dire «quei rapporti psicologici di varia natura intercorrenti anche fra persone tra le quali non vi siano rapporti di coniugio, parentela o affinità» [4]. La modifica dell’articolo da parte della l. n. 172/2012 ha, sotto questo profilo, definitivamente risolto la vexata quaestio, stabilendo che anche il convivente può essere soggetto “familiare” leso dal reato. Individuato il bene tutelato, la definizione del reato – nei suoi elementi oggettivi e soggettivi – stante anche la sua forma libera, costituisce (a maggior ragione negli ultimi anni, anche per numero maggiore di denunce di condotte alla fattispecie riconducibile) un argomento [continua ..]


2. Il reato di maltrattamento: lo stato dell’arte

Oggi, dopo l’ultima riforma del 2012, il reato di maltrattamento è così descritto dall’art. 572 c.p.: «Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni». Si tratta di un reato, come dicevamo, a forma libera; si può “trattare in malo modo” attraverso comportamenti violenti, con durezza, crudeltà, con aggressioni fisiche, psicologiche [5] e la condotta deve avere i connotati della abitualità, propria o impropria. La Suprema Corte, a tal proposito, si esprime unanimemente e costantemente: la «condotta» deve emergere come «abitualmente violenta ai danni del coniuge e dei figli minori. Il reato di maltrattamenti in famiglia è necessariamente abituale e si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili ovvero non perseguibili (ingiurie, percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela), ma che acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo, il reato in esame si perfeziona solo se si realizzano un minimo di tali condotte (delittuose o meno) collegate dal nesso di abitualità». Ciò che deve emergere è che il soggetto attivo abbia «creato un sistema di vita improntato alla sistematica vessazione dei propri familiari» potendo condotte altrimenti isolate configurare eventualmente altri delitti, non uniti, «non caratterizzati da quella abitualità richiesta dalla norma contestata», così, tra le tante, Cass. 7 settembre 2017, n. 40936. La sentenza appena citata consente di evidenziare un punto controverso della condotta integrante il reato di maltrattamenti: la possibilità che il reato si realizzi solo attraverso condotte commissive e non per mezzo di omissioni o, [continua ..]


3. Il maltrattamento economico

Quid iuris, quindi, in ordine al maltrattamento economico? È evidente che la questione sopra cennata del maltrattamento realizzato attraverso sole omissioni viene ad avere in questo ambito particolare rilievo. Per maltrattamento economico, infatti, si intende ogni forma di privazione o controllo che limiti l’accesso all’indipendenza economica di una persona. Privare il coniuge delle informazioni necessarie per accedere al conto corrente, non tenerlo informato della situazione patrimoniale e del reddito, non condividere le decisioni relative al bilancio familiare sono tutte ipotesi di violenza economica, per lo più omissive, e probabilmente, (ma non solo per questo) la giurisprudenza stenta a vedere solo nelle stesse, in assenza di altre forme di violenza, il reato di cui all’art. 572 c. p. Un arresto giurisprudenziale rilevante ed esemplificativo in questo senso è la sent. 19-6 maggio 2016, n. 18937 della III Sez. penale della Corte di Cassazione. I giudici di legittimità (Pres. Amoresano – Rel. Andronio) si pronunciavano intorno alla «sentenza del 12 nov. 2014 della Corte d’Appello di Milano che confermava la sentenza del Tribunale di Milano dell’11 aprile 2013 con la quale l’imputato era stato condannato anche al risarcimento del danno alla costituita parte civile da liquidarsi in separato giudizio … per i reati di cui agli artt. 81, II co. 572 e 609 bis cod. penale per avere con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso maltrattato la moglie con insulti, violenze psicologiche, lesioni, privazioni di disponibilità economiche, e per averla costretta e compiere reiterati atti sessuali … La Corte territoriale ha revocato le statuizioni civili, per intervenuta revoca della costituzione di parte civile, ed ha riconosciuto l’ipotesi di minore gravità di cui all’art. 609 bis, diminuendo la pena e confermando per il resto la sentenza di primo grado. Avverso la decisione della Corte d’Appello l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione chiedendone l’annullamento. Con il primo motivo di doglianza, si contesta l’erronea applicazione dell’art. 572 c.p. sul rilievo che la privazione di disponibilità economica in capo alla moglie cui fa riferimento l’impu­tazione sarebbe insussistente. Non si sarebbe considerato, infatti, che quest’ultima aveva [continua ..]


4. De iure condendo e de iure condito. Il nuovo art. 570 bis c.p.

Qualcosa, nell’ambito della tutela dalla violenza economica, … si muove. Le vittime, anche di questo tipo di violenza, sono quasi esclusivamente le donne e di ciò le cause sociali, storiche, giuridiche sono state esaminate in questo numero della rovista. Occorre, tuttavia, comprendere davvero fino in fondo, quanto il divario economico possa essere foriero di violenza. È necessario conoscere la realtà, per operare. Una recente pubblicazione della Banca d’Italia, dedicata alle donne e all’economia italiana, consente di cogliere, con sintesi e accurata esattezza, quale sia l’attuale situazione delle italiane con riguardo ai divari salariali, alle scelte pubbliche, alle attuali politiche e alle normative [10]. Proprio a tal ultimo proposito, alla luce di tutto quanto sopra detto, pare evidente che ancora il nostro Paese non abbia dato piena attuazione neppure alla ratificata Convenzione di Instanbul, la quale, all’art. 3, non lascia spazio a dubbi sul fatto che la sola violenza economica configuri una violenza punibile: «(Definizione) Ai fini della presente Convenzione: con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata». I passi, dunque, sono lenti, e, spesso, disorganici. La l. n. 119/2013 [11] ha introdotto nel nostro ordinamento una serie di misure volte a dare attuazione ai principi della Convenzione di Istanbul, ma, più che innovare radicalmente, ha modificato il preesistente, con la conseguenza che alcune condotte di violenza – come quella economica – non sono state espressamente sanzionate. E ancora. È recentissima l’introduzione, ad opera del d.lgs. n. 21/2018, nel nostro codice penale dell’art. 570 bis, che espressamente sanziona con «le pene previste dall’art. 570» colui «che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del [continua ..]


NOTE