1. Le soluzioni proposte in dottrina e in giurisprudenza - 2. La posizione del legislatore - 3. La persistente situazione di incertezza: opportunità di adottare in via interpretativa un modello processuale unitario - 4. Incompatibilità dell'attuazione dei provvedimenti di affidamento con gli schemi tipici dell'esecuzione forzata - 5. L'interesse del minore e la dicotomia titolo esecutivo-esecuzione - 6. Possibilità di una rilettura congiunta dei dati normativi - 7. I vantaggi di un modello unitario di attuazione dei provvedimenti di affidamento - 8. Conclusioni - NOTE
Da molti decenni si discute sulle modalità dell’esecuzione coattiva dei provvedimenti giudiziari di affidamento dei minori. Senza tornare addirittura alle tesi espresse nel vigore del codice di procedura civile del 1865, va ricordato che già pochi anni dopo l’entrata in vigore dell’attuale codice di rito erano state espresse dalla giurisprudenza pratica e teorica posizioni diverse. Ragioni che un’autorevole voce aveva precisato non esser solo “sentimentali” [28], aggravate da una normativa lacunosa, avevano dato luogo, invero, a ricostruzioni e soluzioni contrastanti [29]. A fronte di una posizione che addirittura aveva espresso dubbi sull’eseguibilità pratica dei provvedimenti in questione, era stata sostenuta l’utilizzabilità delle forme tipiche dell’esecuzione forzata per consegna di bene mobile (art. 605 c.p.c.) [30]. Ma la Cassazione aveva ritenuto la soluzione inaccettabile, benché «brillantemente argomentata dal più estroso fra i processualisti della passata generazione» [31]. Ed aveva canonizzato l’applicazione della disciplina dettata per l’esecuzione degli obblighi di fare ai sensi degli artt. 612 ss. c.p.c. Un tipo di esecuzione più “elastica” di quella per consegna di cose mobili, poiché fondata su una fase iniziale diretta alla determinazione del quomodo, delle modalità di attuazione e proprio per questo considerata dai giudici di legittimità maggiormente idonea per ottenere coattivamente l’affidamento di minori. La stessa Cassazione, prendendo atto della difficoltà di reperire nell’ordinamento modelli più appaganti, aveva per il vero anche riconosciuto l’utilizzabilità di una esecuzione “processuale in senso lato”, in quanto affidata al giudice autore del provvedimento: questo, però, solo nei soli casi di attuazione dei provvedimenti cautelari [32]. La posizione assunta dai giudici di legittimità, benché autorevolmente sostenuta anche in dottrina [33] e condivisa da successive pronunce, non ha mai convinto la giurisprudenza di merito, che ne ha consapevolmente disatteso gli assunti [34], negando con diverse motivazioni l’applicazione dell’art. 612 c.p.c. ed in generale della disciplina dell’esecuzione forzata in forma specifica, [continua ..]
A questa situazione di risalente e totale incertezza, tanto più grave in quanto operante su situazioni per definizione molto delicate, il legislatore non ha mai voluto definitivamente porre rimedio. Perché, nonostante gli alti lai della dottrina, ha continuato negli anni ad intervenire con provvedimenti parziali e spesso di non chiara formulazione, che, ben lungi dal chiudere il dibattito, lo hanno paradossalmente amplificato: fornendo nuova linfa all’una o all’altra delle variegate posizioni e così continuando a far discutere tutti gli interpreti e la giurisprudenza pratica. Basta considerare che quando [36] con la l. n. 74/1987, novellando l’art. 6 l. divorzio, si è introdotta la previsione per la quale «all’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento della prole provvede il giudice del merito» aggiungendo che «a tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero al giudice tutelare» sono subito sorti ulteriori contrasti. Perché alcuni autori hanno scorto nell’innovazione una portata tendenzialmente generale, da attuare con la riconduzione dell’esecuzione in materia ad una più consona “attuazione” affidata tout court al giudice della cognizione oppure da demandare all’evocato giudice tutelare. Altri, con argomenti comunque degni di rilievo, hanno continuato a propugnare l’applicazione delle norme sull’esecuzione degli obblighi di fare ai sensi dell’art. 612 c.p.c. [37], assegnando alla riforma effetti minori. E non è neppure mancato chi, all’esito di un’ampia e rigorosa analisi, ha finanche riproposto – con nuove argomentazioni e rinnovate basi sistematiche – l’applicabilità delle norme sull’esecuzione per consegna exart. 605 c.p.c. [38]. Questa grave situazione di incertezza non è mutata in occasione dei successivi interventi legislativi. Per il vero neppure quando, vent’anni dopo e sempre in presenza di una situazione giurisprudenziale e dottrinale magmatica, è stato introdotto l’attuale art. 709 ter c.p.c. Norma che ha previsto un potere di modifica ex post dei provvedimenti di affidamento assieme a consistenti strumenti di coercizione indiretta a tutela (anche) della parte affidataria. E che in quanto riferita [continua ..]
Il legislatore, dunque, si è disinteressato del problema. Lasciando le redini della non edificante situazione di incertezza all’interprete. Chiamato a verificare, anche alla luce dell’ennesima occasione legislativa mancata, se ci si debba per forza arrendere alla presenza di soluzioni dottrinali e giurisprudenziali difformi. O non si possa, piuttosto – alla luce dei rinnovati dati normativi ed attraverso una loro complessiva rilettura – compiere un passo ulteriore, affermando una volta per tutte l’esistenza di un unico meccanismo processuale di esecuzione dei provvedimenti di affidamento dei minori, mettendo da parte le speranze di un intervento legislativo, di sempre più incerta adozione. Anticipando le conclusioni, questo sembra a chi scrive possibile. Poiché oggi si può arrivare, riconsiderando tutte le recenti innovazioni e rimanendo in linea con il sistema vigente, ad affermare in via interpretativa la piena operatività di un modello tendenzialmente stabile ed unificato di esecuzione dei provvedimenti in questione. Sufficientemente svincolato dalla griglia del Libro III c.p.c., e costituito da una meno formale, ma più efficace, “attuazione”: affidata al giudice che ha emesso il provvedimento, cui spetta la determinazione, anche a tergoe con eventuali modifiche al provvedimento stesso, delle relative modalità.
Per giustificare l’assunto testé anticipato è necessario prender le mosse da un dato ineludibile, rappresentato da ciò, che se è indubbio che in ogni frangente relativo ai provvedimenti di affidamento operino, contrapposti, diritti soggettivi di rango costituzionale in capo all’uno ed all’altro genitore (o comunque soggetto coinvolto dal lato attivo e passivo dell’esecuzione di tali provvedimenti), è altrettanto indubbio che il principale interesse da rispettare ed assicurare sia quello, di rango legislativamente sovraordinato, del minore. Tutta la nostra legislazione degli ultimi decenni, a partire dalla Costituzione (cfr. artt. 2 e 31) lo conferma. In doverosa sintonia del resto con la normativa sovranazionale. Tant’è che la giurisprudenza non ha mancato di sottolineare che la decisione del giudice di affidare un figlio minore «ad uno dei due genitori non ha natura costitutiva, in relazione ad un preteso diritto del genitore a vedersi riconosciuto tale affidamento, ma integra una misura adottata a tutela dell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, a fronte del quale la posizione dei genitori non si configura come diritto, ma come “munus”» [40]. Le conseguenze sono di particolare rilievo per quanto costituisce oggetto del presente scritto. Innanzitutto, si deve riconoscere che una situazione nella quale spicca la posizione prevalente del minore, da considerare “soggetto” del dictum giudiziale di affidamento più che il suo “oggetto”, non si presta ad esser imbrigliata nelle categorie del processo esecutivo e ancor meno ad esser ricondotta alla basilare dicotomia titolo esecutivo-esecuzione [41]. Non foss’altro per la difficoltà di ricondurre al “diritto certo, liquido ed esigibile” di cui è parola all’art. 474 c.p.c. situazioni soggettive che, anche a volerle qualificare di diritto soggettivo, come appena visto tendono in realtà ad esser puramente funzionali al superiore interesse del minore. Ma sembra allora anche del tutto evidente che, una volta escluso in capo all’affidatario un diritto prevalente (o comunque subordinato tale diritto all’interesse del minore) non sia possibile una sovrapposizione delle regole dell’esecuzione in forma specifica all’attuazione dei provvedimenti di affidamento. A partire [continua ..]
Il punto fermo che deve esser considerato nella selezione delle varie opzioni possibili in tema di pratica attuazione dei provvedimenti in materia di affidamento dei minori, pertanto, è l’interesse superiore di questi ultimi. Che presiede non solo alle decisioni nella fase cognitiva, ma anche a quella di esecuzione o attuazione dei provvedimenti. Il che rende ultronea la distinzione tra cognizione ed esecuzione in senso tecnico, e mina nella materia in rilievo il presupposto di fondo dei procedimenti di esecuzione forzata in forma specifica. Rappresentato, com’è noto, dall’imprescindibilità dell’esecuzione, dalla necessità che il programma contenuto del titolo debba comunque essere attuato (a meno che non vi siano interventi di rimozione del titolo, attraverso le opposizioni sull’an). Ben potendo, invece, venirsi a creare situazioni nelle quali all’esecuzione debba necessariamente, temporaneamente soprassedersi per poter rispettare l’interesse superiore del minore. Oppure si debba deviare bruscamente dal programma previsto in sede cognitiva. Tant’è che può addirittura emergere un conflitto fra direttive contenute nel provvedimento di affidamento e situazione concreta, con necessità o semplice opportunità di non eseguire: in palese contrasto con quanto accade nella struttura dell’esecuzione forzata, improntata al necessario rispetto del titolo giudiziale. A bene vedere, mai come nella materia qui in esame la dicotomia titolo esecutivo-esecuzione appare inappropriata per risolvere gli innumerevoli problemi che possono porsi. Anche al di là della naturale ritrosia a considerare il minore come oggetto di materiale traditio (di “pudore giuridico” parlava già Carnelutti) o comunque di oggetto dell’esecuzione di fare, ogni tesi che pretenda di ricondurre tutto alle esecuzioni in forma specifica non appare più sostenibile alla luce della recente evoluzione dell’ordinamento: sul piano sistematico, perché improntata alla ricerca di una astratta tenuta rispetto ai “diritti” della parte affidataria e di quella tenuta alla consegna sicuramente recessivi rispetto all’interesse, superiore, del minore e dell’esigenza di effettiva attuazione delle misure di affidamento più che di mera loro esecuzione; sul piano del diritto positivo, in quanto [continua ..]
Passando alla pars costruens deve ritenersi che, insoddisfacenti le regole sull’esecuzione in forma specifica, in base all’attuale complesso di norme dettate in materia a partire dal 1987, sia possibile desumere elementi di sostegno al modello di cui s’è detto. Dando rinnovato vigore all’indirizzo giurisprudenziale che già prima delle ultime riforme aveva opportunamente introdotto la ricordata esecuzione diretta “processuale” o “in via breve”, affidata al giudice autore del provvedimento da attuare. E che oggi appare ampiamente omologato dalla normativa vigente. Dalla lettura congiunta degli interventi legislativi degli ultimi anni, invero, possono desumersi diversi elementi idonei a sostenere l’attribuzione in via generale allo stesso giudice che ha adottato il provvedimento del potere di determinarne le modalità di esecuzione, o meglio – come non si è mancato di segnalare – “attuazione” [44]. Poiché non soggetto alle forme del procedimento esecutivo, affidato alla direzione dello stesso giudice del merito, che può avvalersi dei suoi ausiliari e della forza pubblica [45], ed esteso anche alla possibilità di incidere sul provvedimento stesso. Con elaborazione induttiva di un modello uniforme applicabile a tutte le ipotesi in cui si debbano realizzare in via coattiva provvedimenti giudiziali di affidamento di minori [46]. Le basi del modello così proposto sono desumibili, a giudizio di chi scrive, dalla considerazione complessiva delle innovazioni degli ultimi cinque lustri. Il primo elemento normativo da evidenziare è costituito dalla ricordata previsione dell’art. 6, 10° comma, l. divorzio (come modificato dalla l. n. 74/1987): che a nostro avviso disciplina in modo embrionale l’esecuzione – o, meglio, l’attuazione – di tutti i provvedimenti di affidamento di minori emessi in sede di separazione e divorzio, compresi quelli di eventuale modifica. È vero che a tale norma è stata negata efficacia generale [47], ma anche al di là della condivisione o meno dei relativi argomenti, questa posizione non sembra più consentita dalla successiva evoluzione del diritto positivo. Che, come vedremo subito, prima con riferimento generale a tutte le sedi cautelari, poi con una più generale [continua ..]
I vantaggi del “modello” come sopra proposto sembrano quanto mai evidenti. Innanzitutto, si sottrae l’esecuzione di tutti i provvedimenti di affidamento alle preliminari incombenze tipiche del Libro III c.p.c., a cominciare dalla notifica del titolo esecutivo e del precetto. Che non hanno senso nel momento in cui dal concetto di esecuzione si passa a quello di attuazione, diretta dal giudice della cognizione che ha emesso il provvedimento di affidamento (o lo ha modificato, sempre in sede cognitiva). In secondo luogo si elimina la necessità di attivare il subprocedimento di attuazione di cui è parola all’art. 612 c.p.c., con il conseguente farraginoso coinvolgimento di un diverso ufficio e che si presta ad una dilatazione dei tempi (anche perché inevitabilmente deve procedersi all’attivazione del giudice dell’esecuzione, che a sua voltà nominerà l’ufficiale giudiziario: il quale, trattandosi di dover attuare provvedimenti verso minori, a sua volta dovrà farsi assistere da altri operatori). Nel contempo, si evitano le conseguenze dirette dell’adozione delle forme dell’esecuzione in forma specifica, rappresentate anche dall’ammissibilità delle opposizioni esecutive, da decidere in prima battuta da parte del giudice dell’esecuzione ed interferenti con i procedimenti in sede cognitiva. Per demandare invece direttamente al giudice che ha emesso il provvedimento la risoluzione delle eventuali contestazioni, in superamento delle questioni inevitabilmente connesse alla giustapposizione tra giudice della cognizione e giudice dell’esecuzione. In terzo luogo, si riducono consistentemente le tempistiche dell’attuazione e si enfatizza invece quello dell’effettività. Affidando allo stesso ufficio sia l’emissione sia l’attuazione del provvedimento, con maggiore aderenza alle situazioni pratiche. Perché procede all’attuazione lo stesso giudice che ha anche il potere di modifica del provvedimento in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento. Ed infatti mentre l’applicazione delle forme dell’esecuzione ex art. 612 c.p.c. implica il coinvolgimento in prima battuta dell’ufficio esecutivo (giudice dell’esecuzione e ufficiale [continua ..]
Sembra, in conclusione, che la strada da percorrere sia quella di valorizzare i riferimenti normativi vigenti usando, come strumento ermeneutico fondamentale, la considerazione del poziore interesse del minore, o – se si vuole – dell’esigenza di assicurarne i diritti in modo effettivo. Anche se questo comporta la compressione delle situazioni soggettive delle altre parti, che pure sono coinvolte nel momento dell’esecuzione coattiva dei provvedimenti di affidamento del giudice. Tali riferimenti consentono a nostro giudizio di adottare in via interpretativa una soluzione che, oltre a non avere gli inconvenienti della prospettiva dell’esecuzione forzata in forma specifica, ha dalla sua una consolidata applicazione pratica che non sembra foriera di particolari problemi e che oggi, come si è cercato di dimostrare, può vantare appigli nel diritto positivo maggiori di quelli esistenti nel momento dei primi interventi della Suprema Corte. Si deve dunque auspicare un ripensamento da parte della giurisprudenza di legittimità, in difetto di un ormai troppo a lungo invocato intervento legislativo chiarificatore, che abbandoni il ricorso alle forme di cui all’art. 612 c.p.c. e più in generale del processo esecutivo con i suoi inevitabili paludamenti. Con definitivo distacco dalla tradizionale dicotomia titolo esecutivo-esecuzione, perché essa non si presta ad esser utilizzata in subiecta materia, e che va “sostituita” con un affidamento esclusivo al giudice autore del provvedimento di affidamento che dev’essere eseguito delle relative modalità di concreta attuazione. Escludendo a monte il ruolo del giudice dell’esecuzione o comunque dell’ufficio esecutivo, ed assegnando al giudice tutelare il solo ruolo fatto proprio dall’art. 337 c.c., evitando soluzioni ardue dirette ad ipotizzarne una “supplenza” in sede di attuazione [51].