1. Crisi delle relazioni familiari e protezione economica dei soggetti deboli: il fronte disorganico (ed anacronistico) della tutela penale - 2. Separazione e affidamento (art. 3, l. n. 54/2006) - 3. Divorzio (art. 12 sexies, l. n. 898/1970) - 4. Privazione dei mezzi di sussistenza (art. 570, 2° comma, n. 2, c.p.) - 5. Elusione fraudolenta di provvedimenti giudiziari (art. 388, 1° comma, c.p.) - 6. Interazioni tra fattispecie - 7. Conclusioni - NOTE
È noto che sul piano della coerenza sistematica e della tecnica normativa, la tutela penale delle relazioni familiari non brilla per chiarezza e linearità, ma soprattutto mostra un alto tasso di anacronismo: il passaggio – avviato ormai da più di quarant’anni – da una concezione autoritaria costruita intorno alla stabilità dei vincoli quale primario interesse pubblico ad un modello democratico costituzionalmente orientato, consensualistico-sociale, non ha notoriamente stimolato analoghe trasformazioni nel sistema delle incriminazioni [8], verso schemi di tutela imperniati, più che sulla conservazione dei rapporti e dell’ordine familiare, sulla difesa dei soggetti deboli in caso di crisi dei legami di solidarietà personale. Ciò vale in modo particolare per la protezione degli interessi economici: un fronte frastagliato e disorganico, prodotto da una disciplina sanzionatoria formatasi “per accumulo” a partire dal nucleo spiccatamente autoritario dei delitti contro la famiglia previsti dal codice Rocco, passando attraverso la seconda riforma sul divorzio del 1987 e fino alla recente legge del 2006 sull’affidamento condiviso. Sul terreno dell’inosservanza degli obblighi patrimoniali l’apparato punitivo attuale ruota essenzialmente intorno a quattro fattispecie principali: (1) il delitto di «omessa prestazione dei mezzi di sussistenza» di cui all’art. 570, 2° comma, n. 2, c.p., mai modificato nella sua struttura fondamentale dal 1930, la cui inattualità «ha potuto resistere, in parte, al tempo solo grazie all’indeterminatezza della formulazione» [9]; (2) il delitto di sottrazione all’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile di mantenimento (art. 12 sexies, l. n. 898/1970, introdotto dalla c.d. seconda riforma del divorzio del 1987); (3) il delitto di sottrazione agli obblighi economici imposti in sede di separazione e di affidamento dei figli (art. 3, l. n. 54/2006); l’elusione fraudolenta degli obblighi derivanti da provvedimenti giudiziari (art. 388, 1° comma, c.p., come modificato dalla l. n. 94/2009). All’interno di questo sottosistema l’impegno ermeneutico è complicato innanzitutto dalla discutibile tecnica di formulazione dei precetti e delle sanzioni: l’unica disposizione strutturalmente compiuta [continua ..]
La riforma del 2006 sull’affidamento condiviso ha segnato la fine di un sistema – peraltro “salvato” dalla Corte costituzionale in una nota sentenza del 1989 [13] – nel quale la tutela penale del regime patrimoniale della separazione era sostanzialmente affidato alla fattispecie limite dell’art. 570 c.p. In virtù della norma di chiusura di cui all’art. 4, 2° comma, l. n. 54/2006, peraltro, le nuove incriminazioni sono destinate ad operare, oltre che nel contesto naturale della separazione, anche nei casi di «scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché nei procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati» [14]. L’uso – piuttosto discutibile, come si è visto – del rinvio all’art. 12 sexies della legge sul divorzio non implica però, come sembra ormai fuori discussione, una sovrapponibilità dei beneficiari, ed in particolare l’automatica estensione della tutela a tutti i soggetti protetti dalla normativa sul divorzio, ivi compreso il coniuge: è il contenuto normativo dell’intervento del 2006, limitato alle misure poste a protezione dei figli, a non consentire estensioni. L’art. 3 della l. n. 54/2006 protegge dunque soltanto, secondo l’esegesi che appare preferibile su base testuale e sistematica, l’interesse dei figli (sia minori che maggiorenni non indipendenti economicamente) all’integrale rispetto [15] delle prescrizioni patrimoniali imposte ai genitori (anche in via provvisoria) nell’ambito dei provvedimenti di cui agli artt. 155 ss. c.c. (assegni di mantenimento, ma anche provvedimenti sull’assegnazione della casa familiare), nonché – stante il rinvio all’art. 2 della medesima legge – degli specifici provvedimenti adottati dal giudice nell’ipotesi di «gravi inadempienze» o di «atti che arrechino pregiudizio al minore» (nuovo art. 709 ter c.p.c.). Tale interpretazione è stata di recente avvalorata anche dalla giurisprudenza di legittimità [16]: nel disattendere la tesi secondo cui «in ipotesi di violazione degli obblighi di natura economica, in materia di separazione dei genitori, sarebbe sanzionato penalmente tanto il mancato mantenimento del genitore nei confronti del figlio, quanto il mancato [continua ..]
Fattispecie strutturalmente più schematica e lineare, l’art. 12 sexies della legge sul divorzio punisce la mancata corresponsione dell’assegno stabilito in favore dell’ex coniuge (art. 5, l. n. 898/ 1970) o dei figli (art. 6, l. n. 898/1970): non pone quindi particolari difficoltà nell’individuazione delle condotte punibili o nell’accertamento, ai cui fini è sufficiente verificare la volontaria sottrazione al pagamento, indipendentemente da qualunque indagine in ordine all’effettivo stato di bisogno dell’avente diritto. Secondo l’opinione prevalente rileva anche l’adempimento parziale, atteso che «il reato si configura per la semplice omissione della corresponsione dell’assegno nella misura disposta dal giudice» [26]. Qui i profili controversi attengono piuttosto (1) alla rilevanza esimente delle situazioni di effettiva incapacità economica dell’obbligato nonché (2) all’efficacia scusante, quale eventuale errore su legge extra-penale rilevante a norma dell’art. 47, 3° comma, c.p., dell’errore sull’obbligo di corresponsione dell’assegno. Sulla prima questione la giurisprudenza di legittimità sembra avere definitivamente dipanato i dubbi generati dalla matrice formale dell’incriminazione e dall’incidenza apparentemente intangibile della decisione civile sull’accertamento penale, per concludere nel senso dell’esclusione di responsabilità nelle ipotesi di assoluta impossibilità economica, la quale deve essere però provata con rigore dall’imputato che la invochi e non deve trovare origine in comportamenti anche solo colposi [27]. Conclusione, come si può notare, concettualmente modellata sugli schemi interpretativi elaborati con riferimento alla privazione dei mezzi di sussistenza (v. infra, par. 4) e sulla quale, in verità, potrebbero sollevarsi non poche perplessità, soprattutto alla luce della permanente disponibilità in capo all’obbligato, nelle ipotesi di eccessiva gravosità economica, di strumenti civilistici di revisione delle condizioni patrimoniali imposte. Sul piano soggettivo anche la valutazione degli eventuali errori sull’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile (più frequenti, per esempio, nella prospettiva di eventuali [continua ..]
Sul fronte delle tutele economiche la «violazione degli obblighi di assistenza familiare» di cui all’art. 570, 2° comma, c.p. – essendo l’ipotesi della dilapidazione dei beni del figlio minore quasi solo teorica, anche in virtù del principio di parificazione dei poteri dei genitori nella gestione patrimoniale [31] – sopravvive principalmente (con una certa vitalità, peraltro) nella forma di cui all’art. 570, 2° comma, n. 2 c.p., destinata a svolgere un ruolo sussidiario di copertura rispetto alle forme più gravi di deparenting, e a porsi in possibile concorso formale con gli strumenti di tutela delle forme ordinarie di inadempimento degli obblighi patrimoniali di cui si è finora discusso. Nella prospettiva dei soggetti passivi [32] è ormai pacifica l’interpretazione restrittiva: il concetto – di matrice legale, non giudiziale [33] – di prestazione dei mezzi di sussistenza, diverso da quelli di “alimenti” o di “mantenimento” di estrazione civilistica [34], corrisponde «a un grado minimo di assistenza economica sufficiente a garantire al familiare bisognoso lo stretto necessario per soddisfare esigenze prioritarie (vitto, alloggio, vestiario, medicinali) senza riguardo alla posizione sociale e alle condizioni di vita pregresse» [35]; deve comunque profilarsi, in capo al familiare debole, una condizione definibile oggettivamente come stato di bisogno, per quanto l’opinione dominante – contraddittoriamente, secondo alcuni – giudichi irrilevante che alla soddisfazione dei bisogni primari provvedano, per esempio, l’altro genitore [36] o addirittura terzi [37], ovvero – nell’ottica dell’eventuale configurabilità di un mero tentativo – che l’omissione si traduca in un effettivo pregiudizio per il familiare bisognoso [38]. Secondo l’interpretazioned prevalente, va peraltro ricordato, la minore età implica automaticamente lo stato di bisogno [39]. Quasi unanime l’esclusione di responsabilità ai sensi dell’art. 570 c.p. nelle ipotesi di assoluta incapacità economica dell’obbligato, per quanto l’inquadramento dogmatico del fenomeno sia tuttora incerto tra l’inconcepibilità materiale dell’omissione in caso di [continua ..]
Sul terreno della patologia delle relazioni economiche familiari possono infine venire in rilievo le fattispecie di cui all’art. 388 c.p., recentemente riscritto dalla l. n. 94/2009. Più frequentemente invocato per sanzionare l’elusione o l’inosservanza di un «provvedimento del giudice civile [...] che concerna l’affidamento di minori» (2° comma) [50], l’art. 388 c.p. punisce anche – nella nuova formulazione del 1° comma, più generica ed inclusiva – la condotta di chi, «per sottrarsi all’adempimento degli obblighi nascenti da un provvedimento dell’autorità giudiziaria, o dei quali è in corso l’accertamento dinanzi all’autorità giudiziaria, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti». La nozione di simulazione, caratterizzata dalla preordinata divergenza tra volontà negoziale dichiarata e volontà effettiva, viene comunemente assimilata a quella civilistica, sia assoluta che relativa; quella di frode, secondo l’opinione maggioritaria, comprende anche le condotte meramente omissive (oltre che quelle astrattamente legittime, ma realizzate allo specifico fine di eludere gli obblighi imposti dal provvedimento giudiziario) e deve essere intesa in senso lato, come comprendente qualsiasi condotta che produca altrui pregiudizio con ingiusto profitto dell’agente [51] tanto attraverso attività negoziali quanto attraverso altri comportamenti materiali comunque diretti a pregiudicare o frustrare le aspettative del beneficiario di provvedimenti giudiziari, a prescindere dalla ricorrenza di artifici o raggiri del tipo richiesto per la configurabilità del delitto di truffa.
Per ciò che concerne le possibili interazioni tra l’art. 3, l. n. 54/2006 e l’art. 12 sexies, l. n. 898/1970, da un lato, e l’art. 570, 2° comma, n. 2, c.p., dall’altro, in dottrina prevale – sulla base dell’affermata omogeneità tra i beni giuridici, della coincidenza dei soggetti e dell’identica matrice fattuale – l’opinione secondo cui l’ipotesi di mancata corresponsione dell’assegno divorzile o di inadempimento degli obblighi imposti in favore dei figli in sede di separazione personale, ove privi il soggetto passivo dei mezzi di sussistenza, configuri un concorso apparente, pur risolto in termini non univoci – a causa di un non univoco inquadramento dogmatico [52] – quanto alla prevalenza dell’una o delle altre fattispecie. La giurisprudenza sembra invece orientata, seppure senza particolari sforzi argomentativi, ad affermare il concorso formale eterogeneo [53]. Qualora la mancata corresponsione dell’assegno divorzile o l’inosservanza dei provvedimenti patrimoniali concernenti l’affidamento dei figli venga realizzata con comportamenti simulati o fraudolenti dovrebbe essere applicato anche l’art. 388, 1° comma, c.p., eventualmente in concorso con l’art. 570, 2° comma, n. 2, c.p. qualora l’elusione finisca anche per privare i beneficiari dei mezzi di sussistenza.
Per diverse e significative ragioni che vanno dall’obsolescenza ideologica della matrice punitiva alla discutibile tecnica di costruzione delle fattispecie più recenti – lo si è già scritto in apertura – appare evidente la difficoltà del sistema penale di protezione patrimoniale dei familiari deboli di adattarsi con efficacia ai profondi cambiamenti dell’istituzione familiare negli ultimi decenni, e soprattutto di raccogliere le sfide che si affacciano all’orizzonte del diritto di famiglia (specie sul terreno della famiglia di fatto e su quello delle unioni tra persone dello stesso sesso). L’effetto è una risposta punitiva spesso scoordinata e frammentaria, su alcuni fronti (in particolare su quello della tutela dei diritti economici del coniuge separato, come si è visto) carente e su altri forse sovrabbondante, comunque poco coerente con l’idea di un moderno diritto penale minimo, che affida le risposte sanzionatorie e cautelari ordinarie – specie in aree della vita sociale, come quella in esame, nelle quali, «aumentando lo spazio lasciato all’autonomia dei singoli, il complesso delle relazioni [...] ad effetti patrimoniali [sembra orientarsi] verso una dimensione sempre più privatistica» [54] – agli altri settori dell’ordinamento e che riserva la sanzione penale (concepita peraltro in termini più raffinati e moderni rispetto all’attuale, inaccettabile ed inefficace monopolio della pena detentiva) alle lesioni più riprovevoli dei diritti fondamentali. Volendo immaginare – più pragmaticamente rispetto a prospettive di riforma radicale per il momento non incluse nell’agenda delle priorità – alcune possibili correzioni, sarebbe probabilmente opportuno ragionare intorno a modelli che, tanto sul piano sostanziale quanto su quello processuale, rendano meno macchinoso l’accertamento allargando, più in linea con l’inquadramento privatistico degli interessi in gioco, gli spazi delle possibilità compositive e conciliative [55].