1. La famiglia da luogo di protezione a luogo di vittimizzazione - 2. Legami intimi violenti - 3. L'impotenza appresa - 4. Le strategie di prevenzione ed intervento - NOTE
Quando si tratta la violenza domestica, spesso, tra gli operatori che se ne occupano, non vi è sufficiente chiarezza in quanto con lo stesso termine, generalmente, si indicano fattori di differente natura e gravità racchiusi in un termine iperinclusivo e generico che non permette di cogliere e diversificare diverse tipologie di violenza perpetuate all’interno di un contesto fondamentale per lo sviluppo di un individuo: la famiglia. Il termine domus rimanda alle mura domestiche e quindi ad un luogo in cui si sviluppano e strutturano relazioni in un contesto familiare, affettivo e di condivisione: infatti, alla base della violenza domestica, vi è sempre e necessariamente un legame significativo, intimo, tra partner connotato da un elevato grado di intimità ma anche da una distruttività insita in tale legame. Nel nostro paese si è riscontrata una resistenza culturale ad accettare che nella famiglia, considerata come un luogo protetto che dovrebbe tutelare i componenti attraverso i vincoli dell’amore e della solidarietà, si possano consumare atti di violenza e di prevaricazione. D’altra parte, se non ci si attiene ad una concezione idealizzata della famiglia, è necessario considerare che, come ogni altro gruppo sociale, anche quello familiare esprime una quota di conflittualità insita in ogni relazione, pertanto, il focus dovrebbe essere centrato per comprendere le dinamiche per cui una famiglia passa da una “fisiologica” espressione del conflitto a manifestazioni di tipo violento. Il fenomeno della violenza domestica è spesso associato ad il cosidetto “numero oscuro” [56] di casi, nel senso che pochi, tra quelli realmente accaduti, vengono denunciati alle autorità giudiziarie mentre, in altri casi, episodi di violenza non verificatesi vengono denunciati e strumentalizzati in circostanze specifiche come per esempio nelle separazioni coniugali conflittuali.
È fondamentale, quando di tratta la violenza domestica, chiarire come la violenza sia agita sempre all’interno di una relazione tra due partner che presuppone l’esistenza fra la vittima e il perpetratore di un legame intimo, affettivo e significativo tale da qualificare tale tipologia di relazioni come legami intimi violenti [57]. Nella letteratura anglosassone, infatti, viene attualmente preferita alla terminologia Domestic Violence quella di Intimate Partner Violence (IPV) intesa come «atti o tentativi di violenza fisica o sessuale, abuso psicologico, emozionale da parte di un coniuge, ex-coniuge, fidanzato/a, ex-fidanzato/a» [58], in quanto si evidenzia, con tale termine, che si tratta di violenza agita nei confronti del partner intimo [59]. Attualmente si è verificato un rinnovato interesse scientifico per la violenza nei legami intimi nei diversi Paesi del mondo. Progressivamente infatti si è compreso che l’IPV non rappresenta un fenomeno esclusivamente privato, ma, al contrario, un problema di ordine collettivo inerente una delle forme di violenza più gravi e diffuse che ha costi e conseguenze a tutti i livelli (individuale, familiare, comunitario, sociale, sanitario). Se, per esempio, si pensa che l’IPV viene agita esclusivamente in un contesto familiare, emerge come ad esserne esposti e, soprattutto, a subirne le conseguenze psicologiche e/o fisiche, oltre alla vittime prescelte, vi sono anche i figli della coppia costretti ad assistere alla violenza (violenza assistita) tra i propri genitori o, in taluni casi, ad essere coinvolti direttamente nell’episodio violento. Un dato rilevante e che deve essere chiaro si riferisce al fatto che questo tipo di violenza si verifica in tutti i Paesi, a prescindere dal gruppo sociale, economico, religioso e culturale (WHO, 2002), costituendosi come una problematica di rilevanza sociale mondiale [60]. L’IPV prevede due attori: una vittima, in genere la donna, ed un perpetratore, in genere, un uomo, inseriti in una relazione di coppia significativa ma disfunzionale che perdura tuttavia nel tempo. Recentemente gli studi sul fenomeno hanno riscoperto l’interesse scientifico per le dinamiche interne a suddetta relazione: infatti, in passato, le ricerche si concentravano sulle violenze a cui la donna veniva sottoposta dal proprio partner oppure ci si occupava delle [continua ..]
Gli studi della Walker (1984) [61], invece, hanno spostato il focus attentivo permettendo di considerare il fenomeno della violenza come un ciclo reiterante e focalizzandosi sulla comprensione delle conseguenze della violenza che incidono pesantemente sull’incapacità della vittima di sottrarsi da una relazione violenta. La Walker ha identificato così la sindrome della donna battuta, come conseguenza di una relazione violenta disfunzionale i cui sintomi psicologici sviluppati dalle vittime sono simili a quelli della Sindrome Post-Traumatica da Stress diagnosticata nel DSM IV-TR [62]. L’autrice ha individuato il concetto della learned helplessness o impotenza appresa, come una componente fondante della sindrome della donna maltrattata per spiegare l’impossibilità delle vittime, che potrebbero sviluppare strategie di coping, di interrompere una relazione violenta. Secondo il concetto di impotenza appresa, la vittima avverte la sensazione di non riuscire a gestire avvenimenti centrali nella propria vita, valutandoli come non dominabili, ed apprende così l’incapacità di aiutarsi e di chiedere aiuto. Va evidenziato che quando ci si riferisce all’IPV si immagina immediatamente che la donna possa essere l’unica vittima possibile e pensabile di violenza mentre la letteratura americana ci segnala l’esistenza anche della sindrome dell’uomo battuto; l’interesse scientifico prevalente, infatti, si è centrato sui casi di donne maltrattate, rendendo il maltrattamento degli uomini un fenomeno raramente discusso. Una ragione plausibile per tale disinteresse è dovuta al fatto che le donne vengono considerate più deboli e bisognose di aiuto rispetto agli uomini ed inoltre le conseguenze della violenza che una donna può infliggere su un uomo sono ritenute di scarsa gravità rispetto a quelle derivanti dalla violenza maschile, soprattutto se si pensa alla violenza fisica piuttosto che alla violenza psicologica che può sortire comunque effetti devastanti. La sindrome dell’uomo battuto pertanto deve considerarsi come un fenomeno più raro, infatti, le cronache e le statistiche che hanno analizzato il fenomeno dell’IPV hanno osservato che si tratta di un fenomeno di genere [63].
Date queste premesse e la riscoperta dell’IPV come un problema di natura sociale è implicito chiedersi quali strumenti esistono per affrontarlo. Si evidenzia in alcuni Paesi un incremento degli investimenti sociali per comprendere tale fenomeno e trovare strategie di intervento adatte a arginarlo e prevenirlo. In particolare, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO, 2002) si è impegnata attivamente attraverso un rapporto sulla violenza nel mondo, raggruppando i risultati di ricerche effettuate in diversi Paesi con l’obiettivo di analizzare le caratteristiche delle persone coinvolte e i fattori di rischio che intervengono nelle situazioni di violenza. Da tale relazione emerge che gli strumenti utili per contrastare il fenomeno purtroppo non sono ancora sufficienti e coordinati da poter sortire un effetto ragguardevole sulla diminuzione della violenza nella coppia. Sulla suddetta possibilità di studio/intervento influisce, ovviamente, anche il cosiddetto numero oscuro (Romito, 2000b, 2005), rappresentato dai casi in cui la donna per vari motivi, pur subendo violenze da parte del partner, non sporge denuncia. Esso rappresenta il primo grande problema per lo studio delle caratteristiche della violenza nei legami intimi e di conseguenza per l’intervento su di essa. Nel nostro paese l’unica forma d’intervento specifico che si sta diffondendo è quella dell’istituzione dei centri anti-violenza donna che offrono sostegno gratuito alle donne, assistenza legale e psicologica ed anche la possibilità di sottrarsi alla violenza rifugiandosi presso case di accoglienza insieme ai figli, inoltre, sono state istituite anche delle linee telefoniche nazionali e gratuite per la denuncia anonima delle violenze e l’assistenza alle donne che la subiscono. Tali servizi, tuttavia, presentano il limite di divenire attivi solo se la vittima decide di chiedere aiuto o di effettuare una denuncia, ma, com’è facile intuire solo poche, tra le vittime, riescono ad uscire dallo stato di impotenza appresa e a chiedere aiuto. Va al contempo evidenziata la nascita di una cultura giuridica più sensibile ed attenta che ha introdotto la legge contro la violenza sessuale (l. n. 66/1996), la legge contro la pedofilia (l. n. 259/ 1998), le due leggi in tema di allontanamento del familiare violento da casa (l. n. 149/2001) e di ordini di protezione (l. n. [continua ..]