L’articolo esamina la violenza economica contro le donne, ricordando che l’art. 3 della Convenzione di Istanbul censura espressamente questo tipo di abuso e che nel pacchetto di iniziative di supporto alla Convenzione la Commissione europea ha previsto specifiche misure per la garanzia dell’equal economic independence. L’autrice si chiede quindi se la presunzione di gratuità del lavoro femminile in ambito familiare, ancora oggi perpetuata da alcuni orientamenti giurisprudenziali, possa essere reinterpretata grazie ad una lettura gender sensitive e gender oriented della normativa interna derivante dal diritto europeo ed internazionale contro le discriminazioni di genere.
The article focuses on economical violence against women, reminding that art. 3 of Istanbul Convention expressly censures this kind of abuse and the European Commission has provided specific measures for equal economic independence. The author questions thus whether presumption of unpaid feminine work in the family context, nowadays mentioned by case law, could be reinterpreted thanks to a gender sensitive and gender oriented application of national rules arising from European and International law principles against any gender discrimination.
1. Equal economic independence - 2. La presunzione di gratuità del lavoro femminile - 3. Le suggestioni del diritto gender oriented - NOTE
La giornata internazionale contro la violenza di genere è un momento, non solo simbolico, in cui interrogarsi sulla violenza in tutte le forme e manifestazioni e occorre affrontare una particolare connotazione della violenza: quella economica. Il diritto del lavoro – in particolare se gender oriented – è quella disciplina che, per i propri tratti caratterizzanti, può affrontare il tema a partire da una serie di questioni correlate, da apprezzare come punti preliminari del presente contributo. In primo luogo occorre chiedersi quali sono i connotati della violenza economica e se esistono ricerche che consentono di tracciarne i confini. In secondo luogo, occorre affrontare il tema del lavoro gratuito femminile per verificare se esistono legami tra la presunzione di gratuità del lavoro con la violazione del principio di parità di trattamento e i divieti di discriminazione tra donna e uomo. L’obiettivo che ci si propone è di ricercare il punto di convergenza di studi (e quindi di metodi) diversi, scontata la rilevanza della dimensione domestica o familiare della violenza economica. La terminologia “violenza economica” è legittimata dalla stessa Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica – meglio nota come “Convenzione di Istanbul”, adottata dal Consiglio d’Europa l’11 maggio 2011. All’art. 3 dedicato alle Definizioni si legge che «ai fini della presente Convenzione: a) con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata; b) l’espressione “violenza domestica” designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima; c) con [continua ..]
Dal punto di vista strettamente giuslavoristico, occorre distinguere le diverse varianti del lavoro femminile intendendo per tale un qualunque rapporto di lavoro esercitato da una persona di sesso femminile. Questo può essere subordinato, autonomo o esercitato in forma di collaborazione coordinata e continuativa (exart. 2094 e art. 2222 c.c.; art. 409, n. 3 c.p.c.) oppure può essere correlato all’art. 230 bis c.c. oppure ancora essere gratuito. Come segnalato dalla dottrina più recente [4], la presunzione di gratuità è ancora oggi perpetuata da alcuni orientamenti giurisprudenziali. «Sembra preferibile prescindere da aprioristiche qualificazioni in termini di gratuità e verificare tutte le circostanze che connotano il concreto modo di atteggiarsi del rapporto di lavoro …» perché «l’indifferenziato richiamo alla solidarietà familiare non può costituire lo strumento attraverso il quale privare di ogni tutela il lavoro prestato in favore di persone legate da vincoli affettivi, favorendo, così, situazioni di ingiusto sfruttamento del lavoro all’interno della comunità familiare». La necessità di evitare, sul piano previdenziale, indebite percezioni di prestazioni sociali e di diritti alla pensione, ovvero di altri vantaggi sul piano fiscale, in caso di rapporto di lavoro in realtà inesistente, non sembra una giustificazione sufficiente a sostegno delle rigide posizioni della giurisprudenza, fondate sulla presunzione di gratuità e su un rigore forse eccessivo in ordine alla prova della subordinazione. Occorre, per converso, evitare “aprioristiche qualificazioni” (discriminazioni forse, nel linguaggio gender oriented?) e verificare in modo puntuale «tutte le circostanze che connotano il concreto modo di atteggiarsi del rapporto di lavoro: le modalità di esecuzione della prestazione, in genere; il tipo di mansioni svolte; la continuità della prestazione; l’esercizio dei normali poteri – direttivo, organizzativo, disciplinare, di controllo – del datore di lavoro; l’obbligatorietà o meno dello svolgimento dell’attività lavorativa (da intendersi quale assunzione dell’obbligazione di prestare il proprio lavoro, che può manifestarsi, ad esempio, sotto il profilo della necessità di [continua ..]
La dottrina sensibile al diritto civile, di fronte allo stallo, propone di riscoprire l’azione generale di arricchimento ex art. 2041 c.c. [6]. La dottrina sensibile allo studio delle tematiche di genere e al diritto antidiscriminatorio non può non tentare di verificare se la normativa oggi in vigore in materia di parità tra uomo e donna non possa fornire interessanti suggestioni finalizzate allo scopo di evitare il trattamento deteriore della donna lavoratrice in contesti familiari. Non è questa la sede per ripercorrere le singole tappe dell’evoluzione del diritto antidiscriminatorio comunitario [7] conviene ricordare che le direttive rifuse, risultavano tutte già recepite nell’ordinamento nazionale e che le regole nazionali in vigore, dopo un’azione di ricomposizione alquanto criticata (per il metodo e per i risultati finali raggiunti), hanno trovato sede nel d.lgs. n. 198/2006 detto “Codice delle pari opportunità” (d’ora in poi, d.lgs. n. 198/2006). Già altrove è stato segnalato che non si tratta di un vero Codice, che molto manca, e quello che compare può apparire addirittura sbagliato, inutile e, a volte, fuorviante. Questo d.lgs. n. 198/2006 si compone di quattro Libri, rispettivamente dedicati a Disposizioni per la promozione delle pari opportunità tra uomo e donna, Pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti etico-sociali, Pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti economici, Pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti civili e politici. Il d.lgs. n. 5/2010 è l’atto più recente di adattamento del diritto interno al diritto UE e interviene sul d.lgs. n. 198/2006, modificando, più o meno incisivamente, ciascuno dei Libri di cui si compone, salvo il Libro II, che rimane immutato. Il d.lgs. n. 5/2010 incide, non sempre significativamente, su tutti i libri del d.lgs. n. 198/2006 salvo che sul II dedicato alle Pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti etico-sociali che consta di due titoli – Rapporto tra coniugi e Contrasto alla violenza nelle relazioni familiari – contenenti due sole disposizioni di raccordo alla disciplina vigente. Giova continuare a sottolineare che non si spiega perché il legislatore abbia scelto l’impropria locuzione rapporti etico-sociali per questo libro in cui si affiancano le relazioni [continua ..]